Georgia: scende la tensione, anticipate le elezioni presidenziali

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Georgia: scende la tensione, anticipate le elezioni presidenziali

09 Novembre 2007

Sembra rientrata la crisi lampo che ha posto la Georgia
all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Infatti, dopo una
settimana di manifestazioni e la proclamazione dello stato di emergenza, il
presidente della Repubblica Saakashvili ha fissato nuove elezioni presidenziali
per il 5 gennaio promettendo un rapido ritorno alla normalità democratica.

Dal 2 novembre decine di migliaia di dimostranti hanno
manifestato davanti al Parlamento di Tiblisi, accusando Saakashvili di aver accentrato il potere nelle proprie mani attraverso
corruzione e abusi contro gli oppositori. L’opposizione ha chiesto anche
di anticipare le elezioni presidenziali previste per la primavera del 2008.
Dopo 5 giorni di proteste e scioperi, il presidente ha reagito proclamando lo stato
di emergenza: la polizia ha disperso i manifestanti con getti d’acqua e
proiettili di gomma, e sebbene non ci siano state vittime alcune centinaia di
persone sono finite negli ospedali cittadini. Nel frattempo la principale
televisione del paese, Imedi Tv, ha interrotto temporaneamente le sue
trasmissioni a causa dell’intervento delle forze governative.

Secondo l’International Herald Tribune del 8 novembre,
Saakshvili è apparso in televisione “affermando che le violenze lo hanno addolorato,
ma ha difeso la polizia e la decisione di impiegarla (…), e ha accusato i
servizi segreti russi di coordinare alcuni esponenti della protesta”. Immediatamente
dopo tre diplomatici russi sono stati espulsi dal paese. Più duro è stato il
premier Noigadeli che, stando sempre all’IHT, ha parlato di “un tentativo di
colpo di stato”, per questo “abbiamo dovuto reagire”. Di tutt’altro avviso i
membri dell’opposizione, che accusano la polizia di aver usato le armi contro
pacifici dimostranti. In ogni caso l’annuncio delle elezioni presidenziali,
secondo quanto riporta la BBC nella sera dell’8 novembre, “è stato accolto
dall’opposizione come una vittoria del popolo, e l’opposizione ha previsto che
il presidente perderà”. Salvo imprevisti, sempre possibili, sembra dunque che
la Georgia abbia evitato una pericolosa spirale di violenza politica
incanalando di nuovo lo scontro in atto entro i binari democratici. Secondo
quanto riporta l’IHT del 9 novembre, Saakashvili ha inoltre “chiesto alle
organizzazioni internazionali di inviare quanti più osservatori vogliono per
assicurare che la campagna elettorale e le operazioni di voto siano libere,
trasparenti e giuste”. Il ministero dell’Interno ha inoltre fatto sapere che
nessun leader dell’opposizione è stato arrestato, e che i manifestanti accusati
rischiano non più di 30 giorni di prigione. 

Se questi sono i fatti, è molto delicato articolare
un’analisi in merito. In primo luogo, si può essere istintivamente tentati di
schierarsi con i manifestanti “buoni” contro i governanti “cattivi”, ma non
sempre chi manifesta lo fa per i motivi che l’osservatore occidentale
idealmente gli attribuisce. Negli ultimi mesi migliaia di persone sono scese in
piazza contro la dittatura birmana e quella pakistana, ma anche contro i governi
filo-occidentali di Ucraina e Lettonia, ed ogni protesta compresa quella
georgiana aveva motivi, contesto e scopi ben diversi da tutte le altre. In
secondo luogo, in paesi ancora in transizione verso una solida democrazia
manifestazioni più o meno violente, arresti per motivi politici e cambiamenti
di leadership attraverso dei quasi-golpe non costituiscono purtroppo
un’eccezione. A Tiblisi, dalla fine dell’era sovietica tutti e tre i presidenti
succedutisi alla massica carica dello stato sono arrivati al potere senza
passare per regolari elezioni.

In terzo luogo, cosa più importante, ad un idealistico
sostegno verso i manifestanti che prendono le manganellate (o peggio le
pallottole), andrebbe sempre abbinata una realistica valutazione del contesto
interno e internazionale di quel paese, per formulare un’analisi e – nel caso
dei governi – una politica efficace che possa raggiungere almeno nel medio
periodo obiettivi quali pace e libertà che restano il fine ultimo sia dei
realisti che degli idealisti occidentali. Per quanto riguarda la Georgia non si
può dimenticare che, da quando nel 2003 la pacifica “rivoluzione delle rose” ha
portato al potere il filo-occidentale Saakashvili, laureato alla Columbia
University, la Russia ha tentato in tutti i modi di destabilizzare il paese.
Per fare un solo esempio, truppe russe sono tuttora presenti in due regioni
della Georgia, l’Abkazia e l’Ossezia meridionale, per sostenerne la secessione
da Tiblisi in quanto “russe”, incuranti del fatto che prima che il loro
intervento mettesse in fuga le etnie georgiana e armena la popolazione
russofona delle due zone non arrivava neanche ad un terzo del totale. La Russia
inoltre osteggia fortemente l’impegno della Georgia nel partenariato con la
Nato e con l’Unione Europea, e le riforme economiche e sociali che la stanno
lentamente avvicinando al modello occidentale. Occorre inoltre tenere presente
che la posizione della Georgia è cruciale nell’area caucasica, ed a seconda
della sua scelta di campo tale nazione assicurerà l’unico corridoio attraverso
cui l’Occidente potrà accedere alle risorse energetiche asiatiche senza passare
per la Russia, o costituirà l’ultimo anello della catena che Mosca ha stretto
attorno ai giacimenti di gas e petrolio per averne il monopolio. Data tale
situazione, l’accusa di un tentativo di golpe orchestrato da Mosca non sembra
così inverosimile, anche se ovviamente è ancora ben lontana dall’essere
dimostrata.

Specularmente, data tale situazione e con il prezzo del
petrolio vicino ai 100 dollari al barile, America ed Europa si trovano in una
situazione difficile. Come nota il Financial Times dell’8 novembre, il
comportamento del presidente georgiano “imbarazza gli Stati Uniti, che hanno
sostenuto gli sforzi del governo per promuovere riforme economiche e democratiche”,
mentre da parte russa si afferma che “l’Occidente dovrebbe prendere atto delle
massicce violazioni dei diritti umani e delle regole democratiche in Georgia”.
A parte la credibilità di una predica sui diritti umani da parte di un Cremlino
che li viola quotidianamente, i cui oppositori sono stati avvelenati o
suicidati o confinati in Siberia senza processo, per Europa e Stati Uniti un
governo filo-occidentale che impone in questo modo lo stato di emergenza
costituisce davvero un problema. Secondo quanto riporta la BBC, il segretario
della Nato Jaap de Hoop
Scheffer, ha messo in guardia Tiblisi sulle azioni intraprese sostenendo che
esse “non sono in linea con i valori euro-atlantici”, mentre Washington “ha
accolto positivamente l’annuncio di elezioni presidenziali anticipate ma ha
sollecitato la Georgia a togliere lo stato di emergenza e ripristinare la
liberà di stampa