Gheddafi bombarda Brega, in Italia è allarme profughi

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Gheddafi bombarda Brega, in Italia è allarme profughi

02 Marzo 2011

Dopo la calma il regime di Muammar Gheddafi scatena la tempesta. Mentre i caccia dell’aviazione libica stanno bombardando Brega, la città in mano ai ribelli a circa 200 chilometri da Bengasi, il raìs invia più di 500 veicoli blindati per la riconquistare la città.

Nell’aeroporto di Brega sono atterrati 3 aerei militari libici carichi di soldati e veicoli blindati che si stanno dispiegando nei quartieri della città: secondo quanto riporta la rete satellitare Al Arabiya il bilancio delle vittime sarebbe di almeno 14 morti. Brega si trova a una sessantina di chilometri da Adjabiya, il cui arsenale militare è stato attaccato di nuovo mercoledì mattina dall’aviazione militare di Gheddafi, senza conseguenze. Proprio Adjabiya dovrebbe essere la prossima tappa della controffensiva delle forze del raìs, e l’opposizione sta preparandosi a difendere la città.

Le forze gheddafiane ammonterebbero a 20-30 mila unità, secondo le fonti disponibili, tra le quali spiccherebbero le forze speciali: 3 mila uomini ben addestrati, estremamente fedeli al regime e con interessi personali in qualche modo legati alla sopravvivenza della dittatura. Oltre alle famose milizie che da due giorni sono guidate da Mansour Dhu al-Qabasi, andato a sostituire Abdullah al Senussi. Sempre di  la notizia che Bouzid Durda, ex-capo dell’intelligence libica all’estero, è stato nominato dal colonnello capo negoziatore per il lancio di trattative con i vertici delle forze dell’Est.

Sul fronte opposto, le forze dei ribelli restano ben salde nella roccaforte di Bengasi. Guidate dall’ex-ministro della giustizia libico, Mustafa Abdul Jalil, oltre a essere condotte sul campo da figure di spicco come l’ex-ministro degli Interni libico, Abdel Fattah Yunis e il Generale Abdul al-Obeidi, a lungo numero due del regime. Le truppe dei ribelli ammonterebbero a circa 8 mila unità, per lo più composte da ex-militari dell’esercito regolare, giovani volontari o militari in servizio che hanno disertato.

Le stime di questi giorni danno inoltre a circa 12 mila quelle unità dell’esercito che avrebbero abbandonato la divisa per tornare alla vita civile, probabilmente per non ritrovarsi a combattere i propri ex-commilitoni. I ribelli avrebbero sottratto molte armi dalle caserme nelle quali prestavano servizio. In particolare i ribelli disporrebbero di fucili anti-aerei e qualche unità blindata. Mezzi che tuttavia non possono reggere il confronto coi jet libici, che restano il grande vantaggio del colonnello Gheddafi e che, a quanto sembra, sono pilotati da mercenari ucraini.

Ma quella della Libia non è un partita che si gioca all’interno dei soli confini del Paese. Mentre la comunità internazionale discute sulle mosse per accelerare l’uscita di scena del raìs, scongiurando nuove possibili stragi di civili, una moltitudine di disperati dalla Libia preme ai confini con la Tunisia cercando la salvezza. Nella sola giornata di lunedì 14mila persone hanno varcato la frontiera a Ras Al Jedir. Le Nazioni Unite parlano di "situazione al punto di non ritorno". Una vera e propria emergenza umanitaria. I trafficanti di uomini sono pronti a lucrare sulla disperazione, organizzando i "viaggi della speranza" e riversando, sulle coste italiane, una moltitudine di persone in fuga. Dalla Libia ma non solo. Durante la notte appena trascorsa, infatti, le motovedette hanno bloccato e accompagnato nel porto di Lampedusa un peschereccio di 15 metri con a bordo 347 magrebini.  Con loro c’erano anche due giornalisti tedeschi che stavano documentando il viaggio dalle coste del nord africa con una telecamera digitale. Sono stati tutti accompagnati al centro d’accoglienza.

Intanto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, nell’ audizione congiunta Affari internazionali di Camera e Senato sull’evoluzione della situazione del Mediterraneo, ha lanciato l’allarme: duecentomila persone in fuga, l’impatto sarà enorme. L’Europa deve "intervenire con azioni concrete" per rispondere alla "grave e tragica emergenza umanitaria degli oltre 120mila profughi attualmente accampati al confine tra la Libia e la Tunisia". "Preoccupa la pressione sulle coste della Tunisia", ha spiegato, "a poche decine di miglia dall’Europa e non solo dall’Italia. Cosa che spesso sfugge ai colleghi ministri dell’Interno europei". E poi ha insistito: "C’è una massa umana che preme e che urge di assistenza umanitaria, cui la comunità internazionale non ha dato e non sta dando risposte adeguate. Non bastano le sanzioni, approvate anche dall’Onu, ma serve portare subito assistenza umanitaria e sanitaria perché le autorità tunisine, la Croce rossa e la Mezzaluna rossa da sole non ce la fanno". Da qui, ha spiegato Maroni, la decisione del governo italiano di inviare una missione umanitaria "per la costruzione di un campo profughi provvisorio al confine per accogliere chi fugge dalla guerra".

Nella sua relazione il titolare del Viminale ha riferito che in Libia ci sono circa 1,5 milioni di clandestini, entrati nel Paese dal deserto del sud. E’ prevedibile che molti di questi, non appena le condizioni lo consentiranno, tenderanno a spostarsi sempre più a nord per raggiungere le coste e salpare sui barconi.

Ma non è tutto. In Libia c’è il rischio "che l’instabilità favorisca l’infiltrazione del terrorismo internazionale”, ha detto Maroni. “Un report di Europol parla di futuri scenari in questo senso e io esprimo preoccupazione che quanto sta avvenendo in Libia possa portare a un governo del Paese molto più simile all’Afghanistan e alla Somalia, piuttosto che a un governo amico dell’Italia". "È un rischio grave e reale", ha avvertito. "Attualmente la Libia è divisa in due tra rivoltosi e lealisti, una situazione di stallo che nessuno è in grado di sapere quando si risolverà".

L’Italia è già pronta a stanziare “5 milioni di euro per la missione umanitaria”. In particolare, come ha affermato Maroni, ad occuparsi degli aiuti ci sarà la Croce Rossa, la protezione civile e i vigili del fuoco. Inoltre le regioni hanno dato la loro disponibilità per l’assistenza sanitaria. Una serie di interventi in linea con le dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini che, nel corso della sua audizione presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha negato qualsiasi possibilità di un intervento militare dell’Italia che non sia esclusivamente di carattere “logistico”. Il nostro passato coloniale nel Paese nordafricano, secondo le valutazioni emerse in questi giorni, sconsiglia una partecipazione militare diretta, che potrebbe essere colta con sfavore dalla popolazione. Ogni azione militare, ha detto ancora il ministro, dovrebbe avvenire in un quadro che preveda un mandato esplicito delle Nazioni Unite. Il novero di Paesi candidati per un’eventuale azione sarebbe al momento ristretto a Francia, Canada, Svezia, Polonia e Gran Bretagna.

Intanto in Europa dopo la riunione dei commissari sulla questione libica il presidente della Commissione europea Barroso ha ammoniro il raìs di Tripoli: "E’ arrivato il monmento che se ne vada. Le azioni assolutamente inaccettabili delle ultime settimane da parte del regime libico dimostrano che Gheddafi è parte del problema e non della soluzione. Dobbiamo fare di tutto perché il regime attuale lasci il Paese e cessino gli interventi contro il popolo libico: un regime che uccide i suoi cittadini non ha nessun diritto di restare".