Gheddafi ha bisogno dell’Italia per continuare a governare la Libia

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Gheddafi ha bisogno dell’Italia per continuare a governare la Libia

21 Maggio 2009

Gheddafi ha bisogno di noi. Sembra paradossale sostenerlo proprio quando l’Italia sembra sottoposta ad un duplice ricatto proveniente dalla Libia: quello dell’immigrazione e quello del petrolio. Tuttavia siamo sempre stati un partner essenziale nello sviluppo dell’economia libica.

Se l’Italia ha da sempre avuto bisogno del greggio libico, anche il regime di Tripoli ha necessità dell’Italia, innanzitutto come fondamentale contribuente alla stabilità del rentier state, ossia di quella formula di stato, come quello libico e come le economie del Golfo, che basa gran parte delle proprie entrate sulla rendita petrolifera.

L’Italia è tuttora la prima importatrice di petrolio libico, i cui introiti permettono a Gheddafi di distribuire questa rendita alla popolazione in maniera diretta o attraverso la creazione di posti di lavoro pubblici, una politica dei prezzi controllata dallo stato e un sistema di sussidi ai beni di prima necessità. In sostanza, grazie a noi, i libici possono permettersi di lavorare veramente poco e di avere un discreto tenore di vita.

Ma l’Italia, attraverso la propria tecnologia, è necessaria anche per il mantenimento della capacità libica sia di estrarre il petrolio che fornisce la rendita, sia di attuare il processo di distribuzione della stessa, che avviene grazie alla realizzazione italiana di molte opere civili e alla importazione di beni primari e prodotti finiti.

La stipula dell’accordo italo-libico pare un affare per entrambi i paesi. Garantisce a Gheddafi la costruzione di opere infrastrutturali per 250 milioni di dollari annui, il miglior contributo al mantenimento del patto sociale stabilito tacitamente con i libici. Allo stesso tempo, visto che i fondi saranno gestiti direttamente dal governo italiano, permetterà alle aziende di casa nostra di ottenere lavori per milioni di dollari l’anno con la certezza – e non è cosa da poco in Libia – di essere pagati nei tempi stabiliti. In un momento di crisi come questo i lavori in Libia si presentano quasi come investimenti “pubblici” anti-ciclici.

Le partecipazioni libiche in ENI e nelle altre aziende italiane, compresa quella annunciata in questi giorni in ENEL, permetteranno alla Libia di avere quella parziale influenza nel mercato che è da sempre obiettivo dei paesi produttori e consentirà di partecipare alla definizione di strategie del suo principale cliente che avranno un effetto sul proprio futuro. I fondi alimentati dalla rendita petrolifera vengono infatti impiegati principalmente per ridurre l’impatto della volatilità delle entrate petrolifere ma anche per garantire alle generazioni future gli stessi potenziali di crescita attuali: la rendita da capitale dovrebbe progressivamente sostituire la rendita petrolifera via via che si esauriranno le riserve di idrocarburi.

Contemporaneamente, essere azionisti in società italiane è una garanzia rispetto agli investimenti italiani in Libia in quelle aree strategiche che sono essenziali nel processo di riforma economica avviato dal regime libico negli ultimi anni. Gli investimenti libici in Italia si inseriscono in una strategia più ampia orientata all’ottenimento del know-how necessario allo sviluppo dell’economia libica.

Se quindi l’Italia ha inevitabilmente bisogno del petrolio libico, è altrettanto vero che la Libia ha bisogno della tecnologia e dell’industria italiana. Il trattamento privilegiato riservato all’ENI, mai nazionalizzata a dispetto del trattamento riservato a tutte le altre compagnie negli anni Settanta, è sempre stato la dimostrazione di ciò. L’Italia di fatto contribuisce più di ogni altra forza alla stabilità del regime libico. Il Colonnello lo sa e ha capito che legarsi all’Occidente e all’Italia è la maggiore garanzia alla propria, già piuttosto lunga, sopravvivenza.