Gheddafi morto, le fosse comuni e la “Repubblica di Bengasi”
27 Febbraio 2011
Lo hanno dato per morto e invece il Colonnello Gheddafi era da qualche parte nel deserto a organizzare la repressione. Hanno detto che era scappato in Venezuela e lui è rimasto a Tripoli anche quando le cose sembravano volgere al peggio. Lo hanno dipinto come una specie di Hitler chiuso nel suo bunker prima della fine e lo stesso giorno è stato visto in in piazza ad arringare la folla dei suoi sostenitori – grazie a un complicato labirinto di cunicoli e passaggi segreti, come racconta un giornalista italiano che ha avuto modo di visitarli.
Sono stati denunciati bombardamenti a tappeto su Bengasi e le città ribelli ma fino ad ora non abbiamo evidenze fotografiche o prove video che chiariscano l’entità e la gravità di questi attacchi. I primi italiani rientrati da Tripoli negano che ci siano stati attacchi aerei sulla capitale. Un areoporto era caduto in mano ai ribelli, notizia smentita da tutti coloro che si trovati a passare sul posto. E ancora le fosse comuni e i diecimila morti, anche se il cimitero sulla spiaggia di Tripoli non sembra un nuovo Ruanda o il Kosovo, o perlomeno non ancora.
Tutti questi presunti scoop sono opera di Al Jazeera, la tv araba con sede nel Qatar che ieri ha legittimato, prima ancora che lo facesse la Clinton, il nuovo governo nazionale di Bengasi. Anche durante la rivoluzione egiziana, l’emittente araba ha avuto questa capacità di elettrizzare e indirizzare i manifestanti contro questo o quell’altro obiettivo tirannico. Ma perché al Jazeera è diventata il megafono delle jasmine revolutions e soprattutto chi lo agita?
L’emiro del Qatar sta giocando una partita doppia grazie alla penetrazione mediatica mondiale della sua tv, frutto di una strategia politica fondata sulla dissimulazione e la misinformation. Da una parte l’emiro si dichiara amico dell’Occidente e ospita due basi americane nel suo piccolo territorio, dall’altra, dopo l’11 Settembre, scarica nelle case degli spettatori di mezzo mondo una immagine bellicista e imperiale degli Usa e di Israele.
Da una parte ha trasformato Doha in una delle grandi capitali dello sport e della diplomazia, offrendosi come mediatore delle guerre altrui, dall’altra la sua tv ha assunto sempre di più un profilo pro-islamista, pubblicando i report segreti che hanno ‘svenduto’ l’autorità nazionale palestinese e legittimato ancora una volta Hamas – branca dei Fratelli Musulmani, l’organizzazione bandita da Mubarak che punta a vincere le prossime elezioni egiziane. Un esimio ed autorevole rappresentante della fratellanza, l’imam Qaradawi, ha una seguitissima trasmissione su Al Jazeera, in cui spiega, tra le altre cose perché sia giusto adorare i martiri della Jihad.
Lo sceicco del Qatar sa destreggiarsi tra democrazie e fondamentalismi, accreditandosi come un difensore della libertà di parola con i primi – ieri Al Jazeera ha dato una tribuna al premier inglese Cameron, che si è rivolto ai giovani del mondo arabo –, e come difensore della fede con i secondi – la recente visita dell’emiro nel sud del Libano, dove ha finanziato attività caritatevoli, la costruzione di edifici ed ospedali nel territorio controllato dall’Hezbollah, la milizia iraniana nel Paese dei Cedri.
Essere identificato con la “voce del mondo arabo” dà alla monarchia del Qatar un non so che di liberale e progredito rispetto alle altre petrocrazie del Golfo, con cui l’emirato si trova spesso ai ferri corti per questioni territoriali, come col Baharain (a Manama anche ieri sono proseguite le manifestazioni di piazza, riprese dai giornalisti di Al Jazeera. Nello Yemen, gli è stato impedito).
Grazie alla sua tv satellitare l’emiro del Qatar può dire quanto sia grande il desiderio di libertà nel mondo arabo e allo stesso tempo rivendicare quelle rivoluzioni come una conquista dell’islam, su cui l’Occidente non può e non deve mettere becco. Che poi questo sia anche il tenore delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni da Al Qaeda, e che in passato, dopo l’invasione americana dell’Iraq, Al Jazeera abbia trasmesso i proclami di Bin Laden, lo lasciamo al giudizio dei lettori.
E chissà che in queste ore l’emiro non stia pensando pure all’italiana ENI. In passato la nostra ammiraglia si è interessata al Qatar, grande esportatore di gas verso il Giappone e ricco partner nel cuore del Golfo Persico. La caduta accelerata del rais libico, le sanzioni dell’Onu e lo sdegno della comunità internazionale sono tutte notizie che fanno comodo ad Hamad bin Khalifa al Thani.
Anche i giornali sauditi sembrano premere sull’intervento umanitario dell’Onu a Tripoli, mentre la clericocrazia del regno sunnita ieri ha scaricato i Gheddafi, che avevano chiesto una fatwa contro i rivoltosi. Concentrare l’attenzione della stampa araba contro "cane pazzo" potrebbe essere utile ai monarchi del Golfo per restare in sella, oltre a guadagnarci qualcosa in termini economici. Forse ci vorrebbe una jasmine revolution anche in Qatar per vedere la reazione di Al Jazeera.