Gheddafi resiste alle bombe, Bengasi si dà un nuovo governo
23 Marzo 2011
La giornata di ieri è stata contraddistinta ancora una volta dal permanere della spaccatura in seno alla coalione euro-atlantica che guida il fronte delle operazioni di imposizione di no-fly-zone sui cieli libici. Il nodo del comando politico e operativo in sede Nato rimane ancora la questione irrisolta. Da una parte l’Italia che vorrebbe che la Nato assumesse un ruolo di guida politica della missione, oltre che tecnico-operativa. Dall’altra la Francia che vuole che il consiglio atlantico, organo dell’alleanza, assuma “solo” un ruolo tecnico. Intanto le forze di Gheddafi avrebbero bombardato l’ospedale di Misurata, secondo un testimone. Parallelamente otto esplosioni sono state udite a est di Tripoli, di cui una molto forte in una base dell’esercito libico a 32 chilometri dalla città.
BOLLETTINO LIBICO – Secondo quanto riferito ieri in tarda serata dalla tv in lingua araba al Arabiya, il bunker dove sarebbe asserragliato il colonnello Muammar Gheddafi sarebbe stato oggetto di attacchi nella notte di ieri da parte delle forze ‘alleate’. Proprio dalla caserma bunker di Ajdabiya del rais ieri sera il leader libico si sarebbe rivolto ai suoi sostenitori. Sempre al Arabiya ha diffuso la notizia che carri armati delle forze fedeli a Muammar Gheddafi avrebbero preso posizione agli ingressi orientale e occidentale della stessa cittadina, a meno di 200 km a sud di Bengasi.
Di ieri inoltre le dichiarazioni del vice-maresciallo dell’aria britannico della Royal Air Force, il generale Greg Bagwell, il quale ha trionfalmente comunicato che la Libia “non disporrebbe più di un sistema di difesa integrata e che le reti di comando e controllo sarebbero cosi degradate” da permettere di operare sui cieli libici con relativa inpunità. Ma i toni trionfalistici non finiscono a Gioia del Colle dove il graduato britannico ha rilasciato le sue dichiarazioni alla Bbc. Oggi in un’intervista al quotidiano francese filo-governativo Le Figaro, il ministro della difesa francese, Gerard Longuet, ha dichiarato che i jet francesi avrebbero distrutto “dieci veicoli blindati”.
Ieri le forze della coalizione avrebbero attaccato dall’aria le forze pro-Gheddafi attorno alle città di Ajdabiya, Misurata e Zawiya. Come già successo per i raid francesi contro la caserma vicina al bunker di Gheddafi, anche questi bombardamenti hanno provocato mal di pancia tra i partner. “Siamo in una guerra per preservare la zona di esclusione aerea. Mettersi al fianco dei ribelli per cercare di liberare delle città non appartiene al nostro mandato”, ha dichiarato il portavoce dell’esercito belga, Michel Singelè. Da parte loro gli insorti libici di Bengasi cercano di riorganizzare la vita economica e sociale della Cirenaica e starebbero cercando di costituire un nuovo governo ad interim, affidato a Mahmoud Jabril con l’incarico di nominare i ministri. La tv del Qatar Al Jazira, ne ha dato notizia.
COMANDO NATO – La Nato assumerà un ruolo di primo piano nella condotta delle operazioni militari in Libia per imporre una no fly-zone, ma non saranno suoi lo scudo e la bandiera della coalizione internazionale. Con questa “quadratura del cerchio” potrebbero concludersi le discussioni fiume in corso tra i 28 alleati sul nodo del comando della missione internazionale in Libia per fare rispettare la risoluzione dell’Onu. Ancora nessun accordo alla Nato sul comando delle operazioni militari contro la Libia. A quanto si apprendeva ieri da fonti dell’Alleanza atlantica, dopo l’ennesima riunione degli ambasciatori dei 28 Paesi della Nato.
Mentre l’Alleanza registra il rientro delle divergenze con la Turchia, che da oggi partecipa alla missione per l’embargo delle armi con cinque navi e un sottomarino, la Francia continua a fare resistenze contro l’ipotesi di un ‘ombrello’ della Nato, per la quale insiste a chiedere solo un ruolo “tecnico”. Da parte sua l’Italia ha chiesto, per bocca del titolare della Farnesina, Franco Frattini, ieri in Senato, il rapido raggiungimento di un “cessate il fuoco” in Libia per aprire una “fase politica” che abbia come sbocco un “dialogo di riconciliazione nazionale” tra tutte le componenti della società. L’unica “precondizione”, ha detto il titolare della Farnesina, è “l’abbandono del potere da parte di Gheddafi”.
Ma Roma sta chiedendo e chiede ancora che si vada costituendo un comando unificato sotto scudo Nato. Benchè non vi sia ancora riuscita, per chiara opposizione francese, l’Italia si è dovuta accontentare di un risultato minore: la direzione della componente marittima della missione Nato per il rispetto dell’embargo delle armi sotto la guida del contrammiraglio italiano Rinaldo Veri, responsabile del comando navale della Nato a Napoli per il Mediterraneo. Ancora nessun accordo comunque in sede Nato sul comando politico delle operazioni. Parigi – che ha lanciato sabato il primo colpo contro Tripoli – chiede che il ruolo politico sia affidato ad una sorta di “cabina di regia” tra i ministri degli esteri dei paesi della coalizione.
Il ministro degli esteri Alain Juppè ha parlato di “pilotaggio politico” ed ha convocato la prima riunione del gruppo di contatto dei paesi coinvolti per martedì prossimo a Londra. Secondo Juppè, la Nato interverrà in Libia come “strumento di pianificazione e di condotta operativa” nell’applicazione di una no-fly zone aerea. A tarda serata, gli ambasciatori dei 28 alleati erano ancora a consulto con il segretario generale, l’ex premier danese Anders Fogh Rasmussen, per trovare una soluzione alla struttura di comando, diventata un vero e proprio rompicapo.
La Nato avrebbe ultimato i tre piani militari ed oggi è partita la missione per fare rispettare l’embargo delle armi, alla quale partecipano finora sette paesi con 16 navi. Il suo compito è di bloccare il flusso illegale di armi verso la Libia: “Abbiamo prove e rapporti di intelligence che dimostrano che questa è un’attività che continua”, ha affermato la portavoce del segretario Rasmussen. Le difficoltà riguardano ora la trasformazione in missione del piano per la no fly-zone, che garantirebbe la svolta alla partecipazione della Nato e dei suoi Awacs nel teatro di crisi libico.
Oggi, le forze della coalizione hanno attaccato dall’aria le forze pro Gheddafi che minacciano le città di Ajdabiya, Misurata e Zawiya. Come già successo per i raid francesi contro la caserma vicina al bunker di Gheddafi, anche questi bombardamenti hanno provocato mal di pancia tra i partner. “Siamo in una guerra per preservare la zona di esclusione aerea. Mettersi al fianco dei ribelli per cercare di liberare delle città non appartiene al nostro mandato”, ha dichiarato il portavoce dell’esercito belga, Michel Singelè.
POSIZIONE USA – Gli Stati Uniti hanno intenzione di trasferire “a giorni” alla coalizione internazionale il controllo delle operazioni militari in Libia, con la Nato destinata a ricoprire un ruolo chiave, ma sulla struttura di comando è ancora tutto in discussione. Lo ha detto ai giornalisti a bordo dell’Air Force One uno dei consiglieri del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che sta rientrando a Washington dal suo viaggio di cinque giorni in Sudamerica.
“Per una transizione del comando e del controllo (delle operazioni militari) è una questione di giorni” ha detto uno dei collaboratori di Obama, senza precisare ulteriori dettagli sulla struttura del comando militare delle operazioni. Intanto fonti del Dipartimento di Stato americano hanno ribadito a emittenti televisive statunitensi (tra cui la tv liberal CNN) che fedelissimi di Gheddafi stanno prendendo contatto con le autorità americane. Tra gli altri vi sarebbe anche un cognato di Gheddafi.
Nel frattempo la politica di basso profilo e stile “mi ci avete proprio tirato per la giacca” della Casa Bianca sulla crisi libica (ma varrebber anche per il resto delle crisi arabe) sfocia sul campo politico statunitense. Lo speaker della Camera dei Rappresentanti, John Boehner, ha infatti inviato una lettera al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, chiedendogli di spiegare nel dettaglio le ragioni dell’intervento militare Usa in Libia. Tra i punti sollevati, Boehner sottolinea che la risoluzione dell’Onu “non si sostituisce alla strategia politica e militare degli Stati Uniti”.