Gheddafi usa immigrati e islamisti come scuse per guadagnare tempo
16 Marzo 2011
di Jasmine Trio
Solo una settimana fa ci si aspettava che da un momento all’altro che le forze di Bengasi entrassero a Tripoli. Oggi il quadro è del tutto diverso. Le ultime notizie sulla Libia parlano di truppe fedeli al raìs che controllerebbero il territorio della Cirenaica da Tobruk a Sallum. Le forze di Tripoli starebbero già tentando di riprendere Bengasi come ha annunciato sempre la tv gheddafiana. Seppure si dovessero rivelare false, o solo in parte vere, le informazioni di cui disponiamo, è chiaro che a questo punto la partita tra i ribelli di Bengasi e il clan gheddafiano di Tripoli si combatte anche con l’arma della propaganda e della guerra psicologica. Di ieri la notizia diramata dai ribelli di due navi della marina fedele a Gheddafi abbattute da un jet MIG -23 in mano alle forze di Bengasi.
Anche Brega, sede di un importante centro energetico, sarebbe ancora contesa. Ajdabiya, a nord di Brega, è stata bombardata nella notte dell’altro ieri dai jet di Tripoli. Stavolta la riconquista da parte delle forze lealiste di Tripoli sembrerebbe confermata anche dal flusso di profughi che starebbero ripiegando su Bengasi. La dirigenza del consiglio libico nella capitale ribelle incomincia a mostrare segni di preoccupazione, confermati da un esponente del consiglio libico, Essam Gheriani, il quale avrebbe dichiarato l’esistenza di problemi di comunicazione tra Bengasi e il fronte di battaglia.
Il peggio è dunque avvenuto: l’unico che si è giovato della tragica apocalisse sismica e, a questo punto, anche nucleare in Giappone è stato il regime di Muammar Gheddafi. Con i riflettori puntati sulle devastanti immagini del paese nipponico, il dittatore libico ha ritrovato il modo di tornare a una lenta riconquista della Libia. E lo fa non solo grazie allo spostamento dei riflettori mediatici internazionali dal paese mediterraneo ad altri paesi del globo terreste come il Giappone, certamente bisognosi delle cure di Cnn, Bbc, Al Jazeera e Xinhuà. Il colonnello si avvale di due strumenti: le armi vere e proprie e le minacce.
Sulle armi vere e proprie è chiaro che i canali di approvvigionamento del clan del colonnello si stiano rivelando decisivi. Oltre a poter disporre di stock di armamenti russi di cui ils ito dell’Economist ha dato conto nei giorni scorsi, il regime può disporre di canali sub-sahariani e di quelli mediterranei (notizia di ieri è che la Siria di Assad starebbe fornendo alle forze di Tripoli armamenti necessari secondo quanto riporta il sito Debka). E poi ci sono le minacce: quelle “sparate” del colonnello a cui Gheddafi ci ha abitutato nei decenni della sua dittatura.
Se nei primi giorni il colonnello aveva sposato la strategia della minaccia economico-energetica all’Italia – e in generale all’Europa – di rivolgere le forniture di greggio ai BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), oggi la strategia comunicativa del colonello sembra aver subito un aggiornamento. Ne è testimonianza l’intervista rilasciata a Fausto Biloslavo nella quale il raìs afferma che “se la Libia dovesse esser attaccata, piuttosto ci alleiamo con al-Qaeda”. Gheddafi non esita insomma a giocare la carta del terrorismo islamico. Ma nella strategia degli ultimi giorni è soprattutto la carta dell’immigrazione a farla da padrone. E su questo tasto non si può dire che l’Italia non sia sensibile.
Ne sia la prova il fatto che il ministro Maroni, alla sola notizia di tre giorni fa relativa alla partenza dalle coste libiche di un nave battente bandiera marocchina, con a bordo 1836 persone, si sia immediatamente mobilitato per impedirne lo sbarco sulle coste italiane. Delle 1836 persone a bordo, la maggioranza – all’incirca 1700 – sarebbero stati di nazionalità marocchina mentre solo 39 sarebbero libici. La nave è tornata a solcare le acque nord-africane dopo un rifornimento nella rada del porto siciliano di Augusta. E’ evidente comunque che esiste un sentimento di forte apprensione nella comunità politica italiana ed europea rispetto al rischio che la guerra di Libia si trasformi in un esodo di cittadini libici sulle coste italiane. Nel frattempo a Lampedusa il bilancio di coloro che stanno nei centri dell’isola italiana è di 2629.
Sul fronte euro-atlantico la fine del fronte no fly zone sui cieli di Libia è ormai ufficiale. Ne ha dovuto prendere atto anche il neo-ministro degli esteri francese, Alain Juppé, che appena insediato al Quai d’Orsay e in un eccesso (forse) di zelo protagonistico ha spinto la Francia al riconoscimento del governo di Bengasi. Ieri al margine della riunione dei ministri degli esteri del G8, lo stesso Juppé ha dichiarato che l’opzione no fly zone è ormai superata. Nel frattempo anche Frattini ha cercato di ridefinire la posizione italiana. Il titolare della Farnesina ha affermato che il destino del trattato d’amicizia italo – libico è destinato a esser riconsiderato con gli interlocutaori di chi verrà dopo Gheddafi.