Giovani, lavoro, Europa, il chiodo fisso del Governo Letta
10 Maggio 2013
Il premier Enrico Letta torna a parlare di giovani con Martin Schulz e l’americano Kerry. Giovani e lavoro sono una priorità. Letta ha riaperto la questione giovanile con un passaggio centrale, da un punto di vista generazionale, del suo discorso di insediamento alle camere. Quando ha parlato dei "ragazzi partiti nell’87 per il primo Erasmus", un’idea di Europa attraversata zaino in spalla nell’ormai mitico Interrail, per chi l’Erasmus non se lo poteva permettere. Il ricordo dei festosi anni Ottanta quando arrivammo dalla Danimarca in Marocco in un mese di agosto trascorso su ferro e strada.
Anni bistrattati, gli Eighties, ma che in realtà sono stati straordinari. Musica, cinema, tv, design. L’Italia che sorpassava economicamente la Gran Bretagna. Non è vero che furono solo gli anni del "riflusso". La formazione di chi è stato ragazzo allora era forse più equilibrata di chi aveva vissuto nelle generazioni precedenti. Sembra di vederlo, il premier, con quel piglio da bravo ragazzo, gli occhialini da studente che si mette in viaggio, che la sera tornando a casa appende al muro la giacca e si rilassa ascoltando discomusic. Letta fa bene a rileggere le pagine della sua generazione, gente realista, persone con un "senso del limite" e della proporzione, che lavorano e vanno avanti "senza prendersi troppo sul serio", come ha scritto Alessandro Piperno.
Un discorso che potrebbe estendersi alla religiosità di quella generazione, a un cattolicesimo meno devoto ma che trova nella esperienza interiore di un grande scrittore degli anni Ottanta, Pier Vittorio Tondelli, una pietas assolutamente misteriosa e seducente. Una spiritualità viva e materiale, una fede inquieta che da consolazione diventa serbatoio di ricordi della giovinezza, passione tragica che si confronta con la morte. Letta pensi a Tondelli, ad Alex Langer. A guardarli in foto non danno l’impressione di essere simpatiche canaglie. Seri, composti, posati, ma dietro il volto buono c’è la memoria di anni bollenti.
Il mitico ’85, il “Rinascimento sovietico” di Gorbaciov, il “disgelo”, un sistema irriformabile che sarebbe crollato presto. La band moscovita dei “Gorky Park” suonava contro l’oppressione comunista mentre l’operaismo cattolico si ribellava all’assassinio di padre Popieluszko. Era il fermento dell’Europa orientale che conoscemmo durante i primi Erasmus a Berlino.
Forse è questo che cerca di dirci il presidente del Consiglio Letta, dobbiamo ritrovare un’idea di Europa più grande e bilanciata tra l’Atlantico e Kreutzberg, tra il Mare del Nord e le enclaves musulmane nei Balcani. Quel sogno spezzato negli anni novanta, quando la guerra civile iugoslava fece crollare l’epopea multiculturale, l’idea che si potesse coltivare la “differenza” in una Europa ormai pacificata. La Bosnia è stato il nostro primo dopoguerra, direbbe Massimo Zamboni, da quel momento abbiamo attraversato la Storia guardandoci dentro, nella consapevolezza che un’epoca stava finendo.
"Per me gli anni ottanta finirono lì", scrive Tondelli, "nel 1983, durante quel fine settimana dove, sotto l’apparenza di una fiesta mobile di ragazzi allegri, e anche scatenati, si rivelarono la follia dei rapporti, l’eccesso di certi riti e anche la paura. Dopo fu solamente il momento dell’osservazione e della riflessione, del lavoro sul materiale più o meno autobiografico". Ma questo guardarsi indietro e guardarsi dentro riuscirà a produrre qualcosa di buono per le generazioni che oggi hanno meno di 30 anni? Per adesso accontentiamoci delle dichiarazioni, presto giudicheremo il premier dai fatti.