Giù nel cyberspazio: Hillary, Wikileaks e Kim Dotcom

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Giù nel cyberspazio: Hillary, Wikileaks e Kim Dotcom

30 Ottobre 2016

Non c’è solo Wikileaks a turbare i sonni della Clinton, con una nuova infornata di email sul clan democratico (“The Podesta Email Part 22”), dalle quali emergono apprezzamenti poco lusinghieri sul premier di Israele Netanyahu e notizie su finanziatori turchi – tanto per avere un quadro sul tipo di politica estera caro ai Democratici americani. Wikileaks, ovvero Julian Assange, il mago delle fughe di notizie autoesiliatosi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, che nei giorni scorsi qualcuno dava per morto, al quale l’Ecuador su pressioni Usa ha tagliato la connessione Internet, mentre la Svezia gli nega il permesso di recarsi a un funerale. E lui appare durante una conferenza sui liberi software in Argentina. Lui, o meglio, la sua immagine in un video.

No, non c’è solo Wikileaks. Il centro della scena negli ultimi giorni se l’è ripreso un’altra nostra vecchia conoscenza, Kim Dotcom, imprenditore dal passato di hacker, le cui gesta raccontammo sull’Occidentale quando l’FBI chiuse d’imperio “Megaupload”, una delle piattaforme da dove potevi (e ancora si può, cambiano solo nome ogni quarto d’ora) guardare in streaming illegalmente film e serie tv. Sempre su pressione degli Usa, il governo della Nuova Zelanda arrestò il milionario Kim per frode fiscale e un’altra sfilza di accuse, facendo irruzione nella sua megavilla dove il Nostro, in salotto, conservava una statua ad altezza naturale di Predator, l’alieno del celebre film. Poi il governo neozelandese si è rimangiato le accuse, Kim è tornato in libertà e qualche giorno fa ha lanciato un tweet al fulmicotone: “So dove sono le email cancellate della Clinton e come ottenerle legalmente”, destinatario Donald Trump

Seguono indicazioni su come rivolgersi alla NSA, la potente agenzia per la sicurezza nazionale americana, che, sempre secondo Kim, conserverebbe in un cloud il vero boccone ghiotto dello scandalo sulla posta elettronica di Hillary Clinton: non i messaggi su cui ha indagato la FBI, non le infornate di Wikileaks su Podesta, ma il nocciolo duro dello scandalo, i messaggi che la Clinton dice di aver cancellato. Se le email divulgate fino adesso sono state sufficienti a farle perdere gran parte del vantaggio accumulato su Trump, figuriamoci se saltassero fuori quelle cancellate. La teoria di Kim, infatti, è più o meno questa: vi siete chiesti come mai il numero uno della FBI interviene a gamba tesa a una decina di giorni dal voto, per dire che, tutto sommato, ci sono gli elementi per riaprire le indagini su Lady Clinton? Comey è forse impazzito? No, lascia intendere Kim, sta solo cercando di pararsi il cosiddetto, suo e dell’amministrazione Obama. Proprio nel caso in cui le migliaia di email che si pensava fossero sparite rispuntassero, magari a 48 ore dal voto, per affondare definitivamente Hillary, trascinando nel fango anche l’attuale inquilino della Casa Bianca e la sua già malconcia eredità.

Per inciso, se per caso la Clinton dovesse vincere, sarà un grande favore fatto allo zar Putin: eleggere una presidente che fin dal primo giorno del suo mandato sarà un’anatra zoppa, indagata e del tutto delegittimata per il suo operato in politica estera quando era a capo del dipartimento di stato. Ecco, Wikileaks, Assange, Kim Dotcom, l’emailgate, la Clinton, i Democratici, la politica e il web, qualsiasi seria analisi che gli storici faranno su queste elezioni USA non potrà non tenere conto di tutto questo, perché il materiale diffuso in Rete getta una luce a dir poco fosca sulle elezioni in America, su come vengono organizzate e gestite, chi le finanzia, con quali sporchi trucchi i Democratici stanno cercando di vincerle, e ancora sulle relazioni tra potere politico, media e “poteri forti”. 

Mai più dopo queste elezioni gli staff dei candidati presidenti in America potranno permettersi di conservare un segreto sperando che resti tale, o tantomeno illudersi di cancellarlo. Tutto questo ci fa pensare a come oggi il concetto di privacy esca stravolto dalle imprese dei nuovi “eroi maledetti” del cyberspazio. Ci fa pensare a come, in nome della trasparenza assoluta, chiunque dotato di una connessione Internet possa informarsi sulla natura e la struttura profonda del potere politico, bypassando giornali, telegiornali e dibattiti presidenziali; col rischio, certo, di cadere nel regno dei complotti, se non fosse che molte volte quei complotti sono stati succo e trama della storia umana. Hillary è davvero così corrotta? Kim Dotcom ha ragione quando indica l’NSA come tenutario delle email scomparse dalla circolazione? E Assange è vivo o morto? Forse aveva ragione Fredric Jameson, il teorico della postmodernità, a scrivere che siamo immersi in una seconda realtà, “una realtà della quale, da soli, non riusciremmo mai a percepire per intero la complessità”. 

Intanto, qualche certezza: Birgitta Jonsdottir, la 49enne poeta e femminista ex partner di Assange che nel 2010 diffuse un video in cui si vedevano dei piloti americani uccidere dei giornalisti della Reuters a Baghdad, la stessa Birgitta diventata successivamente leader del partito dei “Pirati”, si è piazzata seconda alle elezioni in Islanda, dopo che il governo locale è stato travolto dallo scandalo dei “Panama Papers”. Il mondo sta cambiando, la natura del potere pure, e Internet accelera enormemente la mutazione in atto. Non solo a Washington, nel centro dell’“Impero”, ma anche in quel di Reykjavik, dove la riforma costituzionale l’hanno fatta anni fa, con l’ausilio del web, e quanto pare la partecipazione popolare da allora è servita a qualcosa.