Giuseppe Valditara, un liberale tra due fuochi

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Giuseppe Valditara, un liberale tra due fuochi

Giuseppe Valditara, un liberale tra due fuochi

18 Novembre 2022

In Italia, è una cosa che si sente spesso, persiste un’atavica estraneità alla cultura liberale. Non tanto a parole, perché a differenza dei tempi del mio liceo, quando a dirsi liberali erano pochissimi, e la qualificazione si portava dietro il vago odore un po’ muffoso del sussidiario delle elementari, oggi più o meno tutti si proclamano liberali, quanto nella sfera profonda prerazionale, dove resistono affezioni emotive nei confronti delle visioni totalizzanti del Novecento, quelle che, promettendo un mondo totalmente diverso, per lo più hanno finito per renderlo peggiore. E che in genere ci piacevano tanto.

Ne abbiamo avuto una riprova nella rapida successione di due prese di posizione di Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, un vero liberale, di impronta cristiana e conservatrice: il 9 novembre esce un sua circolare diretta agli studenti delle scuole, sul valore della libertà e sull’importanza storica della caduta del muro di Berlino “Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo… e minimizzarne o banalizzarne l’immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra”.

“Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte… La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri” E ancora: “da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l’Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell’impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa”.

“Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile.”

Il contenuto è ineccepibile e, sia pure nei limiti di uno scritto breve, anche articolato nell’accenno alla complessità del fenomeno comunista e alla sua carica di attesa messianica del mondo nuovo. Ma seguono recriminazioni e commenti, dall’immancabile ANPI ai giornalisti conformisti, ai professori di storia e filosofia nostalgici di Che Guevara: l’accusa è soprattutto quella di non aver parlato del fascismo e del nazismo, insomma il solito “ma anche”, quello che appena appena nasconde il fastidio per le verità elementari, come una specie di intenso prurito provocato da un eczema inguaribile che si riacutizza ogni volta che si evidenzia che il re è nudo. Con in più la vaga impressione che qualcuno non l’abbia letta bene.

Al culmine arriva un’intervista televisiva di Lucia Annunziata, che ce la mette tutta per provocare il ministro. Risultato: fallimento totale dell’intervistatrice e calma olimpica di Giuseppe Valditara, che spiega e rispiega pazientemente. Potete verificarlo da soli su RAI play. Passa qualche giorno, arriva il 17 novembre, anniversario della promulgazione delle leggi razziali del 1938. Il ministro scrive una lettera a Repubblica. “Ottantaquattro anni fa, con il Regio decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, che conteneva i provvedimenti per la difesa della razza italiana e stabiliva misure discriminatorie nei confronti degli ebrei, fu ufficializzata in Italia dal regime fascista la teoria razzista. Per la prima volta si affermava nell’ordinamento giuridico del nostro Paese l’idea aberrante che esistano razze biologicamente superiori e inferiori…Si arrivava così a proibire il matrimonio del cittadino con appartenenti a razze non ariane…”.

“Si interrompeva nel contempo un percorso storico di piena e felice integrazione fra italiani di religione ebraica e italiani di religione cristiana. Si trattava di un punto di non ritorno, di una scelta scellerata che rinnegava la lezione più alta della civiltà occidentale costruita sul diritto romano e sulla tradizione giudaico-cristiana, incentrati quello sulla naturale unicità dell’essere umano e sulla sua naturale libertà…Al di là delle sue origini storiche e culturali, quel pregiudizio nega che l’essere umano, in quanto tale, sia portatore di diritti originari. Nega in definitiva il primato della persona. Mettere sempre al centro del diritto l’intangibile, non negoziabile dignità della persona umana rappresenta perciò l’antidoto più forte contro qualsiasi rigurgito razzista”.

Commenti a caldo? Da sinistra potenza di fuoco imparagonabile alla coda di paglia del muro di Berlino, ma per non farsi mancare mai niente non manca l’accusa di revisionismo: non si parla del razzismo connesso al colonialismo italiano (Christian Raimo). Ma qua e là si ode anche un borbottio da destra ante-fiuggina: “Che dice mai? le teorie razziste erano diffuse in mezzo mondo…” “E dei negri esclusi dagli autobus fino agli anni 60 in America ne vogliamo parlare”?

Insomma ognuno ha la sua capanna dello zio Tom dove rifugiarsi di fronte all’evidenza, magari dopo una lettura frettolosa e “social” e enunciare il suo “ma anche” liberatorio e –almeno parzialmente – assolutorio.