Giustizia, le intercettazioni costano troppo e i conti saltano

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Giustizia, le intercettazioni costano troppo e i conti saltano

25 Gennaio 2008

Atmosfera grottesca quella che si respirava ieri in Cassazione durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Da un lato, la casta in toga costretta ad ammettere la triplicazione dei costi dell’attività giudiziaria, dovuta in gran parte all’abuso dell’istituto delle intercettazioni telefoniche da parte delle procure; dall’altra, Romano Prodi costretto a recitare il ruolo di ministro a interim di Grazia e Giustizia di un governo ormai caduto e a dover recitare l’epitaffio agiografico dell’operato dell’esecutivo in materia di giustizia, tra lo sconcerto dei tanti magistrati presenti.

Una cerimonia che più di regime non si poteva immaginare. Contro i magistrati intesi come corporazione militano quegli stessi dati che si tenta di nascondere sotto il tappeto, ma che magari riemergono grazie al ‘rapporto Italia’ dell’Eurispes che proprio ieri ha presentato a propria volta un quadro impietoso del pianeta giustizia. Tutto, volendo, si riassume in due cifre apparentemente in contrasto: i reati sono in netto calo ma i costi per i processi, sia penali che civili, sono al 300% rispetto agli anni passati mentre lievitano addirittura dell’800% i risarcimenti che lo stato ogni anno deve pagare per la loro lentezza.

L’Eurispes inizia dal pianeta carcere la propria disamina: quasi venti anni orsono, il 31 dicembre 1990, i detenuti nel nostro Paese erano circa 25 mila. Al 31 luglio 2006 (prima dell’indulto) avevano raggiunto le 63 mila unità: un balzo notevole in poco più di 15 anni. Oggi, a un anno dall’indulto, siamo tornati a quota 44 mila. La curva dei reati – in Italia come pressoché ovunque nei paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti – è stazionaria o addirittura in discesa. Secondo le rilevazioni del ministero dell’Interno, in un anno i reati commessi sono stati 145.043 in meno. Il numero dei delitti resta molto elevato (2.791.279), ma sono in calo i reati cosiddetti ‘predatori’ (scippi e furti), le rapine, le violenze sessuali, gli incendi, le estorsioni, i reati legati agli stupefacenti e agli omicidi.

E allora il continuo allarme sicurezza di cui tanto si parla? Una risposta l’hanno fornita, com’è noto, mercoledì scorso gli avvocati italiani, nel corso della loro contro-inaugurazione dell’anno giudiziario: “Tutta demagogia dei politici che pretendono leggi forcaiole e più custodia cautelare solo per i cittadini, salvo poi frignare come adolescenti quando i magistrati li mettono nel mirino. Ormai siamo alla sicurezza reale e a quella percepita”. Il carcere in realtà, rileva l’Eurispes, è sempre più una sorta di ‘discarica sociale’, tanto per rimanere in tema sui problemi che stanno distruggendo la nostra immagine all’estero. Sul totale delle persone detenute, circa il 33% è straniero e circa il 27% tossicodipendente.

La relazione del presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, invece, è stata tutta una geremiade sulla lentezza dei processi condita con un’appassionata autoassoluzione dalle responsabilità dei giudici: quella lentezza è colpa del sistema, o magari delle troppe garanzie per gli imputati, mai dei giudici che non lavorano. Sempre gli avvocati, però, possono smentire tali affermazioni grazie alle ricerche statistiche commissionate in quasi tutti i 120 distretti di corte d’appello. Ricerche da cui, solo per ricordare un dato, emerge che il 9,6% dei rinvii delle cause penali sono dovuti a magagne dei pm o degli stessi giudicanti. Per non parlare dei testi del pm che provocano il 29% dei rinvii a nuovo ruolo quando non si presentano. O dei tempi morti dei processi quando fascicoli possono stare sino a otto anni fermi da un piano all’altro di uno stesso palazzo di giustizia, come capita a Bologna.

Pari al sussiego e allo sguardo strabico della casta in toga, c’è stato, come si diceva, solo l’incredibile intervento di Romano Prodi, che quasi a volersi vendicare di Mastella per aver provocato la caduta del suo secondo governo, lo ha evocato chiaramente senza nominarlo. Davanti all’esterrefatto Napolitano (che proprio in queste ore sta ricevendo il premier uscente), Prodi ha dichiarato che “i politici dovrebbero cessare di pensare ed agire come se l’investitura popolare abilitasse a qualunque trasgressione, come se la violazione della legge fosse giustificabile sulla base di interessi politici e fosse comunque giustificata da una  sorta di stato di necessità della politica”.

Un’ottima maniera per gettare benzina sul fuoco della polemica – per la verità ravvivata anche dal pg della Cassazione, Mario Delli Priscoli (quello protagonista della defenestrazione del Gip Clementina Forleo con la propria testimonianza ambigua sulle telefonate di D’Alema durante il caso Unipol) – e per  avvelenare gli ultimi pozzi di un possibile governo istituzionale. Quello che, a parole, insieme all’opposizione, potrebbe riscrivere la legge elettorale o gestire il referendum.

A spezzare una lancia a beneficio di Mastella, ci ha pensato il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, che lo ha definito un buon ministro e ha provato a lodarne l’attività svolta, tra i mugugni piuttosto clamorosi di tutti gli ermellini presenti. Insomma, una cerimonia surreale, fatta di soli esercizi di retorica, che è servita alla casta in toga per autoassolversi e chiedere più soldi allo stato, sorvolando sugli sprechi per le intercettazioni o sui milioni di euro che si buttano per pagare i depositi giudiziari di auto e motorini rubati.