Giustizia. Napolitano chiede una riforma condivisa e senza pregiudizi
18 Dicembre 2008
di Angela Sozio
Sulla Giustizia bisogna cercare intese senza pregiudizi. Il monito del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano arriva nel giorno in cui il Guardasigilli ha concluso il primo giro di consultazioni con Udc e Pd e segna la cifra dell’attenzione che il mondo politico ha nei confronti della dea bendata e con la bilancia. Agire è ormai diventato un imperativo per Alfano, infatti, "la riforma è urgente e il Parlamento sarà centrale, perchè i rischi di arbitrio sono sotto gli occhi di tutti".
Fare qualcosa subito, però, serve anche perchè, come dice il centrista Michele Vietti, "politica e magistratura vivono in un corto circuito che dura da 15 anni", e perchè, per dirla con il ministro ombra del Pd Lanfranco Tenaglia, la Giustizia "è la grande malata d’Italia". Insomma, sembra che stavolta ci siamo davvero: Alfano non ha ancora carte pronte, ma per gennaio assicura che un testo ci sarà e, si augura il ministro, sarà "in larga parte condiviso".
Del resto, le parole pronunciate da Giorgio Napolitano nel salone dei Corazzieri durante il saluto alle alte cariche dello stato non lasciano spazio a interpretazioni di parte. "Si discuta in Parlamento e attraverso ogni altro utile canale di consultazione e – ha chiesto il presidente – si cerchino, anche qui, soluzioni condivise, senza partire da opposte pregiudiziali e posizioni rigidamente precostituite". L’impresa, dopotutto, non è impossibile e il precedente c’è: "nel ’99 – ha ricordato Napolitano – si riuscì perfino a portare avanti, giungendo a una votazione finale a schiacciante maggioranza, l’elaborazione del nuovo articolo 111 della Costituzione che ha definito i princìpi del ‘giusto processo’".
Fuori dai palazzi, però, ci sono la realtà delle cose e la valanga giudiziaria che rischia di travolgere il partito Democratico ed è su questo che oggi sono state riscontrate le prime crepe nelle fondamenta del progetto di riforma condivisa: alcuni pontieri di maggioranza hanno infatti sottolineato come sia diventato difficile avere a che fare con i democratici, perchè "sono allo sbando" e "non hanno più una direzione da seguire" o, ancora, "ormai vivono nella paura". Frasi che dal Pd vengono rigettate più per obbligo che per convinzione, visto che in molti già da ieri riconoscevano che andare avanti in questo clima "è difficile" e che forse converrebbe andare a una riforma della giustizia condivisa il più possibile con il governo.
Però, attenzione: oggi più che mai ‘riformare’ non deve sembrare sinonimo di voler ‘fermare’ (o provarci) la macchina giudiziaria. Per dirla ancora con Vietti, "nessuno vuole pensare che la magistratura stia reagendo alle ipotesi di riforma dell’ordinamento" e, anche se Gaetano Pecorella oggi tuonava che i magistrati "possono arrestare anche mezzo Parlamento ma la riforma la faremo", chi poi la riforma la deve fare davvero lavora con il bilancino, tanto che negli incontri di oggi c’è stato solo "un confronto di indici" e nessun articolo scritto. Il difficile, a quanto pare, è trovare la formula giusta per cambiare le regole senza scatenare "scintille" fra politica e toghe, "lavorando – sostiene ancora Vietti – per creare un cuscinetto, degli ammortizzatori".
Il primo pare identificato: nella riforma che Alfano presenterà a gennaio con ogni probabilità verrà lasciata invariata l’obbligatorietà dell’azione penale, ma potrebbe venir sottratto ai pm il controllo della polizia giudiziaria. Inoltre, si rafforzeranno i poteri del Parlamento (e quindi del governo) di indirizzare l’azione delle procure verso alcune specificità di reato. Una soluzione che non piace più di tanto ai centristi e che anche il Pd fino ad oggi guardava con qualche sospetto, ma che ora avrebbe una sorta di ‘utilità pratica’ che non dispiace più a nessuno. "Difficile – diceva un osservatore togato – che il Parlamento indichi alla magistratura, come priorità, l’indagare sui suoi componenti".
Il secondo ammortizzatore è un po’ più difficile da trovare, anche perchè si trova inevitabilmente nel terreno minato delle modifiche costituzionali. Oggi, Napolitano ha detto sì a modifiche al Csm che portino a un più "rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all’assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale", ma ha anche stoppato sul nascere ogni tentativo di modificare la Costituzione agendo sui regolamenti parlamentari. Lecito quindi aspettarsi che Alfano provi fin da gennaio a forzare la mano alle opposizioni e a mettere sul tavolo, oltre alla riforma del processo penale, anche alcune modifiche alla Carta.
Questo però porterebbe qualche imbarazzo in casa Pd, che fino a oggi su ha avuto un atteggiamento di assoluta chiusura. Cambiare linea adesso, è la lettura che fanno alcuni democratici, potrebbe sembrare un voler fermare i giudici e le inchieste e "questo non possiamo permettercerlo", anche perchè lascerebbe campo libero all’Idv di Di Pietro, che subito "si ergerebbe a baluardo in difesa delle toghe".
L’orientamento pare quindi essere quello di arrivare a gennaio con un testo di riforma sul quale il Pd possa convergere e poi aprire un cantiere, il "tavolo ministeriale con tutti" chiesto dai democratici che possa dar vita a una riforma radicale da presentare prima dell’estate. Il tutto per dar modo al Pd, se non di convergere, quanto meno di non alzare troppe barricate.