Giustizia, torna in gioco la separazione delle carriere

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Giustizia, torna in gioco la separazione delle carriere

06 Marzo 2008

I magistrati che giudicano e quelli che indagano e accusano non
possono avere la stessa carriera perché i loro compiti sono costituzionalmente
e culturalmente diversi. Per questo semplicissimo motivo l’Unione delle camere
penali italiane ha promosso un manifesto in quattro punti da presentare in una
due giorni di convegni sul tema venerdì e sabato prossimi (14 e 15 marzo) a
Roma all’hotel Parco dei principi.

Il manifesto sarà poi portato all’attenzione del dibattito
politico preelettorale perché qualcuno dei contendenti in lizza, principalmente
Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, lo faccia proprio o lo respinga, ma  almeno prenda una posizione netta in materia
davanti agli elettori prima delle votazioni del prossimo 13 aprile.

Nel manifesto si legge tra l’altro che “la separazione tra
magistrati d’accusa e di decisione è il dato essenziale che connota ordinamenti
giudiziari democratico-liberali e li distingue da quelli a ispirazione
autoritaria.”

E in un altro punto dello stesso manifesto c’è un ulteriore
riferimento al fatto che in Italia la giustizia sia ormai diventata dispotica e
autoritativa come quella dei paesi del terzo mondo: “…l’attuale assetto
ordinamentale, tributario di concezioni autoritative, va riformato per istituire, tramite la separazione delle
organizzazioni di pubblici ministeri e di giudici, un sistema di
amministrazione della giustizia ispirato alle regole del giusto processo,
garantendo in modo pieno l’imparzialità e la terzietà del giudice e
l’indipendenza del pubblico ministero dal potere politico”.

Secondo gli avvocati italiani non sarebbe credibile un processo in
cui i magistrati dell’accusa e i giudici del collegio che dovranno decidere se
accogliere o meno le tesi accusatorie siano colleghi. “Il giudice “collega” dell’accusatore è “tecnicamente”
inattendibile per come esercita la giurisdizione ed è “politicamente non
credibile per l’imputato e per la società”, sostiene l’Unione delle camere
penali italiane, seguendo una scuola di pensiero mai contraddetta al suo
interno negli ultimi dieci anni.

A officiare la due giorni del Parco dei Principi saranno proprio i
componenti dell’attuale dirigenza dell’Ucpi, il segretario Renato Borzone e il
presidente Oreste Dominioni, noti per la propria totale intransigenza sulla
separazione delle carriere. Principio posto sempre come conditio sine qua non
per iniziare ogni confronto con l’Anm sulla riforma della giustizia. I due esponenti
dell’Ucpi in passato sono anche stati assolutamente bipartisan nelle
accuse  di inefficienza e inerzia rivolte
tanto all’esecutivo della Cdl del 2001-2006 quanto a quello dell’Unione nel
biennio successivo.

Gli avvocati credono tra l’altro di avere dalla propria parte i
cittadini con il loro buon senso. “La decisione giusta – spiega Borzone – deve
essere il prodotto di strutture ordinamentali e processuali che le assicurino
l’affidabilità sociale: il cittadino, ispirato dall’immediato senso comune, non
crede di essere giudicato nel giusto da una decisione presa da un giudice che
condivide con il soggetto che lo accusa la medesima collocazione istituzionale”.