Gli alfieri dell’accoglienza dimenticano Asia Bibi

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Gli alfieri dell’accoglienza dimenticano Asia Bibi

17 Ottobre 2016

Da queste pagine vi abbiamo già raccontato di Asia Bibi, la donna cattolica e pakistana in carcere da 2672 giorni per aver preso dell’acqua dal pozzo come ristoro durante il lavoro nei campi: in quanto cristiana è stata accusata da alcune donne musulmane di aver infettato la fonte.   Al “crimine” è stato aggiunto quello di non aver rinnegato Gesù Cristo – “il mio Cristo è morto per me. Maometto per voi cosa ha fatto”?- ed ecco il peccato di “blasfemia” bello e confezionato. Quando la notizia dell’incidente si diffuse, il villaggio insorse, dagli altoparlanti delle moschee i muezzin chiamarono a raccolta i musulmani per punirla e Asia Bibi fu picchiata.

Casi di discriminazione religiosa come questo ne accadono a centinaia ogni giorno in Pakistan. Il reato di blasfemia prevede pene che arrivano fino a quella capitale. Quello di Asia Bibi ha avuto una risonanza mondiale semplicemente perché la donna non era il tipo da farsi sopraffare, e rispose a tono alle provocazione di un manipolo di donne aggressive.  Il resto è una storia lunga otto anni. Da quando l’imam del villaggio sporse denuncia per blasfemia il processo di appello – palesemente manipolato – è stato rinviato senza motivo cinque volte in quattro anni, al fine di confermare la condanna a morte decisa in primo grado. In quell’occasione l’aula del tribunale fu riempita da islamici, che intonarono un coro meschino che suonò più o meno così, “Allah Akbar,  uccidete la blasfema”. Ma attenzione: la magnanimità dell’islam le aveva offerto in cambio la possibilità di convertirsi alla religione di Allah per archiviare la faccenda. Asia, però, non ha voluto rinnegare il vero Dio. 

La sua è una condanna che ha rovinato la vita di chiunque la sfiori: i cinque figli e il marito, in primis, dal giorno del suo arresto sono costretti a nascondersi. Stare accanto, e schierarsi a favore di una donna accusata di blasfemia, è un martirio atroce e silenzioso in Pakistan, e ovunque la legge islamica la faccia da padrone. E’ quello che è accaduto al ministro cattolico Shahbaz Bhatti, o al musulmano Salman Taseer, governatore del Punjab, assassinati per avere difeso Asia Bibi e criticato la legge sulla blasfemia. 

Il destino di Asia Bibi doveva decidersi la seconda settimana di ottobre. Era stata programmata  l’udienza finale del suo processo, ma niente. Si trova ancora al bivio che prevede l’impiccagione.  Cosa che gli islamisti pakistani continuano a rivendicare affollando a migliaia le piazze e gridando: “Uccidete Asia Bibi”. Ad AsiaNews, un cittadino di Lahore di nome Mukhtar, con indosso un turbante bianco, ha dichiarato: “Se Asia la fa franca, ci sarà una guerra.

Siamo tutti uniti in difesa dell’onore di Allah, siamo i suoi servi devoti. C’è forse scritto che in Pakistan si possono impiccare quanti lo amano e risparmiare, invece, la vita dei blasfemi? Perché Asia Bibi non è stata ancora impiccata nonostante la sentenza di morte inflitta dall’Alta Corte di Lahore e confermata dalla Corte Suprema? Il governo la pagherà se agisce in base a interessi stranieri e ci tradisce”.  Il mero punto di vista di uno dei migliaia di manifestanti in difesa delle leggi sulla blasfemia e per l’impiccagione della donna cristiana. 

Il vescovo della diocesi di Hyderabad (nel Sindh), ha provato a spiegare che il governo del Punjab da solo non può influire sulla condanna di Asia Bibi. E che sarebbe competenza della Corte Suprema decidere “se ascoltare o meno” l’opinione del procuratore aggiunto. Yousaf Benjamin, direttore esecutivo di Dignity First, Ong a difesa dei cristiani, ha scritto su Facebook che “i giudici sembravano impreparati”, a dispetto dei quindici mesi avuti per studiare il caso. Quel che è davvero scandaloso di questa vicenda è il silenzio dell’Occidente. Scandaloso anche rispetto ad un’Europa che col Pakistan intrattiene rapporti commerciali e si disinteressa del rispetto dei diritti umani. E rispetto all’ossesione delle fantomatiche “tolleranza” e “accoglienza” in un’Italia che paga vitto e alloggio a pakistani accusati di stupro di una donna, e tace sulla tutela di Asia Bibi. 

Il politicamente corretto detesta infastidire il mondo musulmano, e dimostra un’indifferenza che è violenta e nefasta. La comunità internazionale, i cosiddetti gruppi per i diritti umani e i media vivacchiano in una sonnolenza, nemmeno sfiorata dal pensiero di dover proteggere i cristiani. Dobbiamo forse accettare il fatto che “l’islamismo va considerato come il giacobinismo del Ventunesimo secolo” – come lo storico Ernest Nolte ha detto prima di morire – ma dobbiamo reagire.