Gli americani non credono più nelle istituzioni (e negli intellettuali)

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Gli americani non credono più nelle istituzioni (e negli intellettuali)

27 Giugno 2010

Sulla New York Review of Books Mark Lilla, uno storico delle idee rigoroso e perspicace, affronta il problema della rivolta contro le élite in corso negli Stati Uniti, un fenomeno liquidato dall’establishment democratico come populismo, che però non ha niente del populismo, alla cui base c’è sostanzialmente l’appello alla solidarietà tra le classi.

Il nuovo populismo per Lilla non è neppure reazionario, come viene definito in Europa, dove il termine “reazione”, mutato dalla fisica di Newton per il quale ogni azione provoca una reazione uguale e contraria, ha assunto dopo la rivoluzione francese un significato politico e comporta la denuncia di volere riportare il mondo all’ancien régime. Nella rivolta contro le élite degli americani non c’è niente di tutto questo: né la rivolta è tipicamente repubblicana, anti-Obama, ma trasversale e include una grossa fetta di democratici. Per Lilla non sono stati i media conservatori come Fox news e i repubblicani a creare i Tea party, né sono diretti da essi, è un movimento autonomo nato dal basso, libertario, sul quale non è facile mettere il cappello e che nasce da qualcosa di profondamente americano: il desiderio dell’autonomia, condensato nel concetto: "I want to be left alone", voglio decidere da me.

E’ una rivolta storica: molti americani sono convinti che le èlite politiche, intellettuali, burocratiche, i giornalisti, ma anche i medici, gli scienziati, perfino i maestri di scuola, vogliano controllare la loro vita. Sono stanchi di sentirsi dire in quali valori devono credere, di notizie come il riscaldamento globale, di essere continuamente consigliati su come allevare i figli, quali medicine prendere, come costruire la casa, quali fucili devono comprare, se devono parlare al telefono mentre guidano, quali cibi possono mangiare, quanta soda devono mettere nei drink. Dopo il collasso finanziario che li ha lasciati senza casa, senza lavoro, senza risparmi, questa rivolta contro le élite era prevedibile, ma c’è qualcosa di più profondo. Non è una semplice rivolta contro Obama, che per Lilla ha scelto di fare la riforma sanitaria durante un periodo di crisi, ma qualcosa di più radicale. C’è la sfiducia completa nelle istituzioni: un milione e mezzo di ragazzi americani non va più a scuola, sono educati a casa dai genitori. È la fuga da una scuola e insegnanti incompetenti, un fenomeno da non prendere alla leggera. Lilla non è un fan dei repubblicani, ma neppure di Obama, che considera un populista, un misto di saggezza e follia.

La rivolta viene dagli ultimi sessant’anni di storia americana ed è il risultato di élite colte, capaci di scegliere buon vino e buon cibo, ossessionate dall’ambiente, contrarie al fumo come al diavolo, saltuari consumatori di droga, favorevoli ai matrimoni gay, a connessioni più veloci a internet, ma separate dai tanti americani travolti dalla crisi, che abitano negli Stati del sud o di montagna, mandano i figli alle scuole pubbliche, vedono i quartieri poveri distrutti dalla droga, famiglie sfasciate dai divorzi, l’America in declino. Se le élite non sono capaci di rinnovarsi, come si sa, è difficile sopravvivere per una società. Anche da noi le élite della sinistra, l’élite culturale-politica del Paese, non sembrano più in grado di percepire la realtà, danno di populista al centrodestra, firmano appelli contro la nuova barbarie, invocano Obama, senza neppure rendersi conto di quanto sta accadendo negli Stati Uniti. Il caso più vistoso di questa miopia è Pomigliano D’Arco, dove la sinistra con la Cgil e la Fiom non riescono a comprendere che gli operai della Fiat vogliono che la Panda rimanga in Italia per mantenere le famiglie, pagare il mutuo, mandare i figli all’università.

Il ‘900 è stato il secolo in cui gli intellettuali si sono inventati di essere i portavoce degli operai, considerati troppo ignoranti per pensare e decidere. A Pomigliano gli operai stanno ora lottando per riprendersi la vita, decidere da soli, stanchi di essere guidati da un’élite che vorrebbe privarli addirittura del lavoro per inseguire i propri privilegi. Mentre all’università baroni de sinistra eroi del ’68 fanno i rivoluzionari per non andare in pensione a 70 anni con liquidazioni d’oro, a Pomigliano vorrebbero privare uomini e donne del lavoro necessario per vivere. La meglio gioventù non poteva finire peggio.