Gli anni ’50, dal “Maracanaço” verdeoro al Brasile di Pelé

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Gli anni ’50, dal “Maracanaço” verdeoro al Brasile di Pelé

Gli anni ’50, dal “Maracanaço” verdeoro al Brasile di Pelé

05 Giugno 2010

"Nunca mais", mai più. L’urlo di dolore della Seconda Guerra Mondiale è il titolo dei quotidiani brasiliani all’indomani della finale persa contro l’Uruguay. E’ il mondiale che apre gli anni 50′, il primo dopo dodici anni di guerre e distruzioni, ma a sfogliare le pagine successive, di "nunca mais" c’è ben poco: MacCarthy che compila la sua lista di caccia alle streghe negli U.S.A., Churchill e la sua "cortina di ferro" che dividono economie e stili di vita, come Berlino e l’Europa, tra occidente e comunismo. Altro che distensione, a nemmeno due anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è ancora corsa ad un riarmo che tra due anni, nel 1952, vedrà il suo apice nell’esplosione della prima bomba all’idrogeno.

Pensare al calcio, oltre che fuori luogo, può sembrare provocatorio. Come la partecipazione inglese, che rinuncia finalmente al suo snobbistico boicottaggio ed assieme ad altre dodici squadre si ritrova in Brasile per la quarta edizione dei Campionati del Mondo Jules Rimet. Non si può giocare a piedi nudi, neppure per motivi religiosi, così l’India viene squalificata poco prima dell’inizio del torneo. Escluse per motivi politici (come nelle olimpiadi del 1948), anche il Giappone e la Germania, ma non l’Italia, che però reduce dal disastro di Superga si presenta in Brasile in pessime condizioni fisiche. Non è passato neppure un anno dalla tragedia e il segno lasciato è forte sia nella formazione (falcidiati i nove undicesimi della squadra) che negli animi. E come da italica tradizione l’emozione degenera presto in psicosi: il gruppo in blocco non ci pensa proprio a prendere l’aereo per trasvolare l’atlantico, preferendo un massacrante viaggio in nave da Napoli a São Paulo lungo 3 settimane che snerva e affievolisce gli azzurri. Una spedizione mondiale preparata sul Sises addirittura senza palloni, tutti finiti in mare dopo pochi giorni dall’imbarco.

Con queste premesse i nostri tornano clamorosamente a casa eliminati già nel girone (sconfitta contro la Svezia e inutile 2-0 sul Paraguay). Come a sorpresa è eliminata l’Inghilterra 1-0 dagli Stati Uniti, e l’indomani oltremanica un popolo intero leggendo la notizia penserà ad un errore di stampa. Le vincitrici della fase a gruppi (Svezia, Spagna, Uruguay e Brasile) si contendono il titolo in un ulteriore girone finale all’italiana, caso unico nella storia dei Mondiali, senza disputare una finale secca. Nell’ultima partita al Brasile basta un pari contro l’Uruguay che invece deve vincere per alzare al cielo il trofeo: è il 16 luglio 1950, data indelebile nell’immaginario calcistico brasiliano. "O Maracanaço", il disastro del Maracanà, costruito proprio per l’occasione e gremito di 200mila spettatori. In un saliscendi d’emozioni la torçida carioca esplode al vantaggio di Friaca, ammutolisce al pareggio di Schiaffino, sprofonda all’inferno al gol in contropiede di Ghiggia. Uno psicodramma collettivo, disperazione e suicidi per le strade, il caos totale. La nazionale brasiliana abbandonerà da allora il vecchio colore delle casacche per passare all’attuale divisa verdeoro. "Chi non c’era non potrà mai capire…", le parole di Varela, capitano della celeste e trascinatore dell’impresa.

Dal delirio brasiliano alla tranquilla Svizzera passano 4 anni non senza novità. Sono i primi mondiali seguiti dalla televisione e del "dopo Wembley" (d.W.): la nazionale inglese proprio contro  la strafavorita Ungheria della Honved perde la sua storica imbattibilità il 25 novembre 1953. Ed anche il contesto internazionale pare finalmente al di fuori delle logiche belliche: morto Stalin il 3 marzo ’53, il mondiale svizzero s’inserisce in pieno periodo di decolonizzazione. Soltanto un anno prima la Francia fronteggia con le armi la Rivoluzione per l’indipendenza dell’Algeria, mentre in Europa già s’inizia a guardare ad un’unione transnazionale che ha con la firma della Ceca (1951) e successivamente della CEE (1957) le sue prime espressioni concrete. Partecipano 16 squadre, 11 europee, 3 americane e un’asiatica (la Corea del Sud), divise in gironi sorteggiati per la prima volta con le teste di serie. Anche questa volta per l’Italia sarà débâcle. Inserita nel gruppo di Svizzera, Inghilterra e Belgio, perde a Losanna contro i padroni di casa e pur battendo i belgi, nello spareggio ancora contro gli svizzeri a Basilea capitola con un pesante 4-1. Trionfale invece la marcia dell’Ungheria di Puskas: i campioni olimpici di Helsinki ’52 arrivano in finale con 17 reti fatte e 3 subite nelle due partite del girone, eliminano il Brasile nei quarti e l’Uruguay 4-2 ai supplementari in quella che Gianni Brera definì "una delle partite per me più memorabili della storia calcistica". Se la finale tecnica è Uruguay-Ungheria, quella agonistica vede opporsi ai magiari la Germania Ovest, in una partita che passerà alla storia come il "Miracolo di Berna": al doppio vantaggio dell’Ungheria in soli 8 minuti i tedeschi rispondono con una favolosa rimonta. La rete di Rahn all’84’ regala la coppa alla Germania. A sorpresa, come sorpresi saranno gli infermeri dell’ospedale che accoglierà tutta la squadra malata di epatite nei giorni seguenti: fu voce comune del tempo che i tedeschi fossero dopatissimi, e solo con le conferme e le vittorie degli anni successivi i teutonici riusciranno a non far passare come un furto quella che a tutti nell’immediato sembrò una vittoria rubata.

Rubata come il Brasile considerava la Coppa del Mondo strappatale in casa dall’Uruguay nel 1950. Ma avrà di che rifarsi 8 anni dopo, nel mondiale svedese del 1958. Il non allineamento degli scandinavi, estranei alla logica dei due blocchi contrapposti, favorisce la partecipazione per la prima volta di un numero realmente rappresentativo di nazionali, 51, delle quali 16 arrivano in Svezia per la fase finale. Tra queste per la prima volta c’é anche l’U.R.S.S. del glorioso Yashin, campione olimpica a Melbourne due anni prima, un piccolo segnale di distensione geopolitica a cui fanno però da contraltare altri eventi meno felici anche a livello internazionale. Come al processo di destalinizzazione critica operata da Kruscev segue pure la firma del Patto di Varsavia che sancisce la nascita del blocco filosovietico e la rivolta d’Ungheria repressa nel sangue dall’Armata Rossa nel 1956. Svezia ’58 è il mondiale della rivincita verdeoro. Con Didì-Vavà-Pelè nasce il puro "futbol bailado". Sedici anni e non dimostrarli: se dici Pelè pensi a ‘O Rey già dal mondiale del ’58, il suo primo da protagonista, per una carriera che lo porterà per la terza volta sul tetto del mondo allo stadio Azteca nel 1970. La competizione cambierà nome, come la Coppa, ed il calcio non sarà più lo stesso.

Quello brasiliano del 58′ è il primo ed unico trionfo della storia dei mondiali di una formazione sudamericana in Europa. Più che vinto, stravinto, battendo di misura il Galles ai quarti (Pelé), ma sommergendo con un doppio 5-2 la Francia in semifinale (Vavà, Didì e tripletta di Pelé), ed i padroni di casa in finale (Zagalo e doppiette di Vavà e Pelé). L’apoteosi del bel gioco per il Brasile, della crisi per l’Italia. Gli azzurri non riescono neppure a qualificarsi per la fase finale, perdendo la gara decisiva contro l’Irlanda del Nord. Il punto più basso della storia calcistica italiana, scriverà chi non ancora può conoscere l’esito dei successivi mondiali in Cile ed Inghilterra. Il peggio deve ancora venire.

Leggi qui il primo capitolo della storia mondiale: Quella doppietta azzurra che negli anni trenta fece sognare l’Italia