Gli anni ’70, la grande sfida tra Italia e Germania e il primo titolo argentino

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Gli anni ’70, la grande sfida tra Italia e Germania e il primo titolo argentino

Gli anni ’70, la grande sfida tra Italia e Germania e il primo titolo argentino

07 Giugno 2010

Gli anni settanta cominciano come finiscono i sessanta, fra contestazioni e Lotta Continua, golpe reali (in sudamerica) o presunti (in Italia), rivoluzioni comuniste nei caraibi e guerre più o meno fredde. Il conflitto in Vietnam si acuisce, i Beatles si sciolgono e l’Italia pallonara guarda per la prima volta dal ventennio fascista con rinnovato ottimismo ai mondiali messicani del ’70.

Ma seppur da campioni d’Europa in carica (2 anni prima a Roma), i 50 milioni d’allenatori da bar sport del belpaese non rinunciano comunque al solito criticare e sbeffeggiare la spedizione azzurra dei mondiali centroamericani, gli ultimi col nome di “Coppa del mondo Jules Rimet”. Se li aggiudicheranno i brasiliani per la terza volta, e d’ora in poi saranno semplicemente “Coppa del mondo FIFA”. Organizzata ancora con 16 squadre divise in 4 gruppi in un torneo stavolta atipico, in altura, col pallone che schizza più velocemente e l’aria rarefatta che annebbia le forze degli atleti. Per la prima volta presenti tutte le squadre vincitrici della competizione, e non a caso in semifinale arriveranno proprio le tre squadre bicampioni (Brasile, Italia e Uruguay) più la Germania mondiale del ’54. I primi tv-color riescono a trasmettere i colori dei primi cartellini gialli e rossi della storia del calcio.

E’ il mondiale delle stelle: Pelé su tutte, ma anche Gerd Mùller “l’uomo dei ralenty”, che certe sue invenzioni erano talmente veloci da necessitare del replay per apprezzarle, l’indomito Beckenbauer e per l’Italia una vera generazione di fenomeni: Sandro Mazzola, figlio dell’indimenticato Valentino capitano del grande Torino, morto nello schianto di Superga, il pallone d’oro ’69 Gianni Rivera e Rombo di Tuono Gigi Riva, fresco campione d’Italia con il suo sorprendente Cagliari, tre gioielli di limpida classe sotto le direttive di Ferruccio Valcareggi. Numero uno azzurro è Albertosi, secondo Zoff, terzo portiere Lindo Vieri, che evidentemente ha molto tempo libero, giacché nei giorni del mondiale si fidanza addirittura con la figlia del vicepresidente messicano, assistendo alle partite dalla tribuna d’onore.

Dopo aver regolato agevolmente le avversarie del girone ed i padroni di casa nei quarti con un sonoro 4-1 che ci farà tifare contro i messicani in finale, in semifinale i nostri si ritrovano contro la Germania. “La partita del secolo”, per alcuni uno dei più alti momenti di trance agonistica, una delle più grandi scelleratezze tattiche mai viste in una partita d’alto livello per altri. Finì come tutti sappiamo, 4-3 per l’Italia, ai supplementari, con gli azzurri in vantaggio per tutta la partita ed il pari di Schnellinger al 90°. Gianni Brera sul Giorno del 18 giugno 1970 la descriverà così: “I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti. Ben sette gol sono stati segnati (…) Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’infarto, non per ischerzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza (…)”. Chapeau. E da allora una lapide su una parete dell’Azteca ricorda l’epico incontro. In finale ci aspetta il Brasile di Pelé ma i muscoli, stancatisi nell’epica semifinale, danno forfait. La partita dura solo un tempo: al vantaggio di Pelé risponde Boninsegna, ma è un fuoco di paglia. Nella ripresa Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto umiliano gli azzurri. L’ingresso in campo di Rivera a tempo quasi scaduto (“i sei minuti di Rivera”) servono solo a riaccendere le polemiche. E a scagliare contro Valcareggi e i suoi al rientro in Italia insulti ingrati e lanci di pomodori indegni d’un paese civile, il tutto per giunta in diretta televisiva, coi carabinieri a salvare i calciatori dal linciaggio di una folla inferocita ed armata di bastoni. Onore al Brasile, calcio spettacolo. “Fantasia al potere” uno degli slogan di quegli anni. E la ribalta del calcio mondiale sta per scoprire una nuova stupefacente scuola calcistica, quella olandese del “calcio totale”.

L’ondata orange è pronta ad abbattersi sulla nuova Coppa del Mondo della decima edizione dei mondiali: la disegna com’è ancora oggi l’italiano Silvio Cazzaniga. Siamo in una Germania dove è ancora forte l’eco del tragico massacro delle Olimpiadi di Monaco dove due anni prima morirono 11 atleti israeliani per mano di un commando terrorista palestinese. Non vi partecipano l’Inghilterra (che non si qualifica) e l’Unione Sovietica, che rifiuta di giocare la gara di ritorno in Cile nello stadio-lager del colpo di stato contro Salvador Allende. Oltre all’attenzione dei militari sull’evento, viene aumentato anche il numero di partite per esigenze televisive. Compare così per la prima volta la formula del doppio girone, con le prime due dei secondi miniraggruppamenti a giocarsi la finale, e invece le seconde il terzo e quarto posto. Favorite, al solito, Brasile, Germania, Italia e come outsiders la sorprendente Polonia campione olimpica e l’Olanda di Michels. L’Italia esce subito fuori al primo turno. Non miglior fortuna per i verdeoro: Pelé dà l’addio alla seleçao il 18 luglio 1971 e così anche il Brasile non decolla. In finale si ritrovano i padroni di casa e l’Olanda tutta “genio e sregolatezza” di Johann Crujff, il figlio della lavandaia dell’Ajax, con Neeskens alla regia e l’imprevedibile Rep sulla fascia. Una scuola calcistica in gran crescendo quella degli orange, che fà sognare e diverte, forte delle quattro vittorie consecutive tra il ’70 e il ’74 di Feyenoord e Ajax in Coppa dei Campioni, ma che ha anche al suo interno più d’una crepa che col passare delle partite sfalda in parte lo spogliatoio. Vincerà la Germania, pareggiando al rigore di Neeskens dei primi minuti con un altro penalty di Breitner. A fissare il punteggio sul 2-1 ci pensa il solito Gerd Mùller. E la Coppa torna in Europa.

Fino al 1978, quando “el Mundiàl” torna in Sudamerica, per la prima volta in un’Argentina senza “el Caudillo” Peròn morto nel 74′ e governata dai generali del colpo di Stato del 76′ con a capo il Generale Videla. E’ ancora il calcio olandese ad impressionare ma a non raccogliere nulla, battuto per la seconda volta consecutiva in finale dai padroni di casa. Non c’è Johann Crujff, l’unico coerente con le critiche al regime militare: preferisce non far parte della spedizione orange nel paese dei desapareçidos. La formula del doppio girone con 16 squadre iniziali resta immutata. L’Italia del primo Bearzot è una formazione giovane formata dal cosiddetto blocco-Juve, pieno di giovani speranze che nelle qualificazioni hanno eliminato non senza soffrire l’Inghilterra. E’ una partenza-sprint, quella degli azzurri, a punteggio pieno nel primo girone, battono l’Ungheria, la Francia di Platini e i padroni di casa.

E’ il mondiale che lancia Paolo Rossi, ma nulla può l’undici di Bearzot nella finalina del secondo girone contro l’Olanda per accedere alla finale: gli orange vincono in rimonta 2-1 (e con lo stesso risultato il Brasile ci batterà nella finale per il terzo posto). Nell’altro girone a contendersi la finale sono l’Argentina agli ordini del “flaco” Menotti ed i verdeoro. Proprio all’ultimo turno la differenza reti del Brasile è migliore rispetto a quella dei cugini, che contro il Perù devono vincere con tre gol di scarto segnandone almeno quattro. Un doppio vantaggio, visto che sanno in anticipo che il Brasile ha battuto 3-1 il Messico (e la mancanza di contemperaneità delle partite da molti addetti ai lavori è vista malignamente come pensata a tavolino). Vinceranno 6-0 in quella che passerà alla storia come la mermelada peruana. Sospetti e polemiche sulle origini argentine dell’oriundo portiere Quiroga saranno inutili, la finale contro gli orange è dei padroni di casa: sarà una doppietta di Mario Jempes a decidere il 3-1 dei supplementari e regalare la prima Coppa del Mondo al popolo argentino. Il gol di Bertoni allo scadere vale solo per gli almanacchi di un mondiale che sarà ricordato soprattutto per gli aiuti decisivi alla Selecciòn. Col beneplacito della propaganda del regime militare.