Gli anni di Tony Blair, il grande comunicatore

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Gli anni di Tony Blair, il grande comunicatore

14 Luglio 2007

Gli osservatori meno inclini a valutare i partiti e la loro offerta politica unicamente in base al successo contingente, in riferimento a Tony Blair si sono sempre posti un quesito di fondo: il premier che ha governato il Regno Unito dal 1997 al 2007 riportando i laburisti al potere dopo 18 lunghi anni di lontananza dalla stanza dei bottoni è stato soltanto un fenomeno mediatico o qualcosa di più? È stato, in altri termini, un vero innovatore o soltanto il più abile comunicatore che i laburisti abbiano mai avuto?

In realtà, il quesito ha in sé una contraddizione piuttosto evidente se solo si tiene conto della percezione che Blair ha avuto nei compagni di partito e negli avversari nel periodo in cui è stato al vertice della politica britannica; due immagini possono essere ricordate a questo proposito: i manifesti della sinistra radicale del Labour che disegnavano il volto di Blair all’interno della cornice di capelli di Margaret Thatcher e l’impietoso appellativo a lui attribuito dai conservatori togliendo la consonante iniziale del cognome per avere l’aggettivo “lair”, che in inglese significa bugiardo. La contraddizione di cui si diceva sta nel fatto che queste immagini smentiscono ampiamente lo stereotipo tradizionale del politico laburista (da un lato lontano anni luce dalle politiche liberiste, dall’altro incapace della spregiudicatezza necessaria nei rapporti con i mezzi di comunicazione) e quindi, oltre agli accenti critici che contengono, di fatto ammettono il quantum di novità insito nello “stile Blair”.

Ma l’inedito di cui parliamo come può essere caratterizzato? Forse non è eccessivo sostenere che con Tony Blair si è inaugurato in Europa un nuovo rapporto fra media e politica. In un discorso tenuto all’inizio di giugno di quest’anno alla Reuters Building di Londra in occasione di un convegno specificamente dedicato a questo tema, Blair ha ammesso che “nei primi tempi del New Labour noi prestammo un’attenzione eccessiva corteggiando, blandendo, persuadendo i media”. Ma ha subito aggiunto che “a nostra difesa, posso soltanto dire che dopo 18 anni all’opposizione e per l’ostilità talora feroce di parte dei media, era difficile ravvisare un’alternativa”. E più oltre: “Sto per dirvi qualcosa che pochi personaggi pubblici sarebbero disposti a dire, ma che la maggior parte di loro sa essere assolutamente vero: di questi tempi l’aspetto più difficile in assoluto nel nostro mestiere – se si eccettuano le decisioni di primaria importanza – è avere a che fare con i media, con la loro incredibile influenza, il loro peso, la loro incessante iperattività”.

Molti commentatori, non a torto, hanno visto in queste parole una sorta di testamento politico; Tony Blair è stato probabilmente il primo premier europeo a fondare il proprio agire su questa consapevolezza, in primo luogo cercando di plasmare (i maligni hanno sempre detto “manipolare”) le notizie che, attraverso gli organi d’informazione, erano destinate ai cittadini. Ha fatto così il suo esordio l’espressione spin doctor, nata per designare coloro che hanno come compito specifico quello di curare la parabola, anzi l’«effetto» (spin ha questo significato in inglese), che le notizie assumono dopo aver abbandonato la fonte che le ha generate. Una vecchia massima popolare diffusa un po’ ovunque impone ai bambini di non tirare i sassi, perché non è dato sapere dove possano andare a finire una volta lontani dalla mano che li ha scagliati; in un certo senso, l’attività degli spin doctor è intesa a vincere questa legge fisica aggiustando continuamente la traiettoria delle notizie, così come viene fatto con i satelliti in orbita.

Senza dubbio il principe degli spin doctors blairiani è stato Alastair Campbell, responsabile della comunicazione di Downing Street dal 1997 al 2003 (quando diede le dimissioni a seguito del suicidio di David Kelly, lo scienziato implicato nelle false notizie relative alle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein). Per fare solo un esempio fu sua l’idea di suggerire a Blair di usare l’espressione “Principessa del popolo” in occasione della morte di Lady Diana, così da mettere il premier in sintonia con l’onda di commozione generale che quell’evento aveva prodotto non solo a livello britannico.

Ora che Blair ha lasciato il posto di primo ministro, ed ha assunto già un nuovo incarico politico, escono i diari di Campbell, un tomo di oltre 800 pagine in cui, giorno per giorno, sono annotate le giornate accanto al primo ministro del Regno Unito. I maggiori quotidiano italiani ne hanno dato ampia eco, per la verità privilegiando particolari piuttosto triviali; a noi piace riportare un passaggio in cui TB (così lo indica sempre Campbell)  mostra la stoffa dell’animale politico di razza: dopo la prima rielezione Blair chiede ad alcuni consiglieri se ritengano che lui debba annunciare che non guiderà il Labour dopo la fine del secondo mandato; annota Campbell: “era chiaro che non voleva candidarsi una terza volta. Ma la grossa domanda era: una simile decisione gli avrebbe dato maggiore autorità nel rimanente periodo in carica, o al contrario avrebbe eroso il suo potere e dentro il partito avrebbero subito preso ad appoggiare Gordon Brown?”.

Alastair Campbell, The Blair Years: the Alastair Campbell Diaries, Knopf Publishing Group, 2007 (pp. 816 – $ 35,00)

www.alastaircampbelldiaries.co.uk/