Gli “assenti ingiustificati” della riforma Gelmini
30 Luglio 2010
di redazione
Si può essere o non essere d’accordo con la nuova riforma dell’università passata ieri in senato, e con la sua stretta meritocratica tutta indirizzata verso meccanismi di produttività e competitività. "Un evento epocale – l’ha definito il ministro Gelmini – che rivoluziona il nostro sistema universitario e permette all’Italia di tornare a sperare". Ma nessuno ha detto qual è il vero segreto di questa rivoluzione.
Che non sta solo nel fatto che i finanziamenti agli atenei arriveranno sulla base della qualità delle attività svolte, che viene posto un limite al numero delle facoltà per ateneo, o che a godere degli scatti in busta paga saranno i professori più bravi. E nemmeno nel fatto che saranno introdotti dei contratti a tempo determinato per i ricercatori (3 anni+3), alla fine dei quali o si verrà assunti o si tornerà a casa – un grande cambiamento che però si aspettava da tempo.
No, c’è un aspetto del provvedimento che a noi appare ben più decisivo e destinato a passare alla Storia e riguarda l’orario di docenza e servizio per gli studenti che i docenti universitari dovranno garantire durante l’anno (350 ore, fatevi un po’ i conti): se il testo diventasse legge, i professori avranno nientedimeno che l’obbligo di certificare la loro presenza a lezione. Finalmente abbiamo capito perché è scoppiata la rivoluzione. D’ora in poi i prof assenti dovranno portare al preside la giustificazione.