Gli avvocati dicono sì al processo breve ma con strutture adeguate

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Gli avvocati dicono sì al processo breve ma con strutture adeguate

09 Febbraio 2010

Lo scontro sul tema della giustizia è all’ordine del giorno. Non solo fra opposti schieramenti politici, ma anche all’interno degli stessi partiti. Legittimo impedimento per premier e ministri, processo breve contro la durata indeterminata dei processi, necessità di riscontri sulle dichiarazioni dei pentiti di mafia. Ma di tutto questo cosa pensano gli avvocati? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Cassiani, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma.

Presidente Cassiani, l’approccio che il governo sta adottando sul tema della giustizia va incontro alle necessità del vostro ordine professionale?

Per quanto ci riguarda uno dei problemi principali è la riforma dell’ordinamento professionale, che attendiamo da 73 anni. Dalla riforma dell’ordinamento, che pur essendo passata al Senato attualmente sembra essere ferma, dipende il futuro dell’avvocatura. La riforma prevede che per diventare avvocato si superino una serie di “sbarramenti” (prove ndr) che contribuiscono alla formazione di una classe di professionisti più preparati. Nel nostro Albo siamo circa 24.000 iscritti: nessuno sa cosa sappiano realmente fare. La riforma prevede degli albi di specializzazione e la cancellazione dall’Albo di chi non esercita la professione per un certo numero di anni. Questa legge di riforma prevede inoltre che la sede del consiglio dell’Ordine di Roma rimanga presso la Corte di Cassazione di piazza Cavour, dove è da cento anni. Stanno facendo di tutto per estrometterci da quella sede.

Chi vuole estromettervi da quella sede?

I magistrati ritengono di aver bisogno di spazio. Dopo cento anni hanno addirittura messo in dubbio la legittimità per noi avvocati di risiedere a piazza Cavour. Il TAR ha dato ragione a questa tesi. Il Consiglio di Stato invece, con una recente sentenza, ci ha riconosciuto la legittimità di risiedere nella Corte di Cassazione pur sostenendo che, qualora si trovassero degli spazi adeguati alle nostre necessità, ci dovremmo trasferire in Tribunale. Questo non avverrà mai perché in Tribunale non c’è neanche un centimetro quadrato libero.

Processo breve. Lei come giudica questo provvedimento?   

Il processo breve è una cosa magnifica che caratterizza i paesi civili, però bisogna saperselo meritare. Dovrebbe essere un punto d’arrivo e non di partenza. Oggi i tempi di prescrizione sono lunghi, eppure molti processi vengono prescritti. Se si restringono i termini, così come si vorrebbe, immaginiamo cosa succederebbe. Parlare di processo breve senza avere delle strutture adeguate è un errore. Bisogna cioè avere i mezzi perché lo si possa realizzare. Prima di tutto servono maggiori fondi, perché il bilancio dello Stato prevede ben poco. In secondo luogo, l’eliminazione delle sedi dei tribunali inutili. Ne sono stati creati alcuni solo per dare importanza alle città. Ma questa pratica ha contribuito ad un eccessivo sparpagliamento sul territorio di queste strutture che assorbono risorse. Faccio un altro esempio per dire fino a che punto la macchina della giustizia non funziona: il Consiglio dell’Ordine ha dovuto spendere 60 mila euro per comprare gli scanner da dare ai giudici di pace. In un paese civile un Ordine professionale non può fare opera di supplenza, certe cose spettano al ministero. Ma lei si rende conto che noi avvocati da anni chiediamo l’introduzione del processo telematico e ancora non se n’è fatto nulla?

Cos’è il processo telematico?

Significa che gli avvocati eviterebbero di fare lunghe file davanti alle cancellerie, perché riceverebbero gli atti del processo in studio attraverso internet, semplificando notevolmente il procedimento delle notifiche e anche il lavoro dei cancellieri.

Avvocato, lei cosa pensa del ddl sui collaboratori di giustizia presentato dal senatore Giuseppe Valentino?

I pentiti sono stati fino ad oggi una necessità. Dall’utilizzo delle dichiarazioni dei pentiti è dipesa la soluzione di molti processi. Ma bisogna stare molto attenti. Quello che penso io, che pensa la giurisprudenza e che penserebbe qualunque cittadino è che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia vanno prese con le pinze. Il problema centrale è quello del riscontro: sul significato di questo termine la giurisprudenza fino ad oggi si è sbizzarrita. Ora si ritiene che più pentiti che si confermano e sostengono, le cosiddette dichiarazioni incrociate, possano costituire elementi di riscontro. Questo non è sufficiente: non si può fare atto di fede sulle testimonianze di un pentito. L’avvocatura, che è garantista, non può che essere favorevole al disegno di legge di Valentino. Per un penalista non è civile un paese nel quale basti la parola di un pentito, magari pluricondannato per fatti di estrema gravità, perché si arrivi alla condanna di un cittadino.

Come spiega allora l’opposizione dei ministri Alfano e Maroni?

Mi metto nei loro panni. In questo momento, dare l’impressione di voler cedere nella lotta alla mafia non sarebbe corretto. Io credo che Alfano e Maroni, che sono impegnati in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, non vogliano che un provvedimento del genere passi per l’ennesima legge ad personam. Mi spiace per Valentino, perché l’ha fatto in un momento politico nel quale rischia di passare per uno che porta acqua al mulino di Silvio Berlusconi. Io credo che non sia così. Anzi, il disegno del collega Valentino ha il merito di aver messo il dito nella piaga. Le regole della politica sono diverse da quelle che riguardano la corretta interpretazione del codice penale. Se questo disegno fosse stato presentato in altri tempi, e non in concomitanza con le dichiarazioni di Spatuzza e Ciancimino, non si sarebbe gridato allo scandalo.

L’Ordine degli avvocati si è riunito per esprimere un giudizio in merito?

In questo momento siamo sotto elezioni e non ci riuniamo, quindi parlo a titolo personale. Ma alla ripresa dei lavori del consiglio dell’Ordine, qualora fosse riconfermata la mia presidenza, metterò all’ordine del giorno una valutazione in merito al disegno che reca la firma di Valentino affinché il Consiglio si esprima.