Gli effetti collaterali dei carburanti ecologici
20 Dicembre 2007
Da tempo queste colonne registrano la
perdurante crescita dei prezzi di prodotti agricoli. Il fenomeno, d’altro
canto, è fotografato in varia maniera da numerosi studi e analisi in materia di
prezzi al consumo, che il più delle volte si limitano a fornirne una misura puramente
statistica. Le cifre e i fatti da soli sarebbero dunque
pressoché inutili, se non si provasse quantomeno a individuarne le trame
profonde.
E’ quanto fa una recente analisi dell’IFO
di Monaco, uno tra gli istituti di ricerca economica più autorevoli d’Europa.
Il direttore dell’IFO, Hans-Werner Sinn, ha infatti individuato una precisa
correlazione tra l’aumento nei prezzi di prodotti agricoli, e la produzione di “carburanti
ecologici alternativi” dall’altro lato.
La tesi dello studio, che riprende
argomenti in fase di diffusione negli USA, è di quelle forti: i carburanti
ecologici alternativi sono un’arma a doppio taglio. Nel senso che molti Stati, nella speranza
di emanciparsi progressivamente dal cartello petrolifero mondiale, si sono
tuffati nel “bio-fuel”, sussidiandone i
produttori.
L’effetto immediato è che, su un versante,
molti agricoltori preferiscono vendere grano e barbabietole ai produttori di
carburante, anziché agli acquirenti tradizionali. Sull’altro versante, poi, si contano in
misura crescente le conversioni di terreni originariamente destinati a colture
agricole tradizionali verso terreni da “bio-fuel”.
Come tutto risultato, l’offerta di prodotta
di prodotti agricoli si è fatta di colpo scarsa, con una corrispondente
impennata dei prezzi. Per non parlare delle conseguenze
simboliche, come quella che all’inizio di quest’anno è stata ribattezzata dagli
analisti “tortilla crisis”, crisi delle tortillas, ed ha colpito una celebre
specialità culinaria messicana. Le tortillas sono infatti a base di mais, che è
quasi tutto importato dagli USA. Ma il prezzo, a causa della minore produzione
statunitense, è schizzato alle stelle, ed è dovuto addirittura intervenire
direttamente il governo messicano per sbloccare la situazione.
Un male necessario? No, se è vero – come è
vero – che l’umanità ha sempre risolto
situazioni di questo tipo tramite il progresso tecnico, come ricorda il
neoconservatore americano David Frum da una colonna de Il Foglio.
Almeno nel caso dei carburanti ecologici
alternativi, i fatti sembrerebbero dargli ragione, dato che è già tecnicamente possibile
produrre carburante alternativo senza bisogno di convertire intere distese di
campi e alterare gli equilibri nei prezzi alimentari. Lo si può fare elaborando
rifiuti (non solo organici), ricavandone carburante, ed evitando al contempo il
rilascio di gas nocivi nell’atmosfera.
La procedura è più complessa, e i costi di
avvio sono particolarmente massicci. Queste colonne sanno però per certo che progetti
di questo tipo stanno nascendo anche a casa nostra. E’ il caso della bresciana VuZeta,
un esempio di genio imprenditoriale “fatto in casa” coniugato con capitali
privati e appoggio delle istituzioni (soprattutto della Regione Lombardia).
L’idea, a raccontarla così, pare presa di
peso da un film della Disney: una macchina delle meraviglie, che mangia rifiuti
– dato più interessante: anche rifiuti inorganici – e ne cava carburante. Staremo
a vedere. Per il momento, speriamo nella macchina delle meraviglie.