“Gli elettori sono stufi dei politici che si mandano a quel paese”

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“Gli elettori sono stufi dei politici che si mandano a quel paese”

19 Maggio 2011

Le amministrative a Torino hanno confermato un trend che si era già affermato nella tornata elettorale del 2006: larga maggioranza del centrosinistra al primo turno con un centrodestra teso verso il 30 per cento. Ma la novità nella campagna elettorale per la corsa alla poltrona di primo cittadino nel capoluogo piemontese è stata il candidato del Pdl, Michele Coppola. Nel 2010, quando viene eletto nel Consiglio Regionale del Piemonte diventando assessore alla Cultura, risulta il più votato a Torino, dove i suoi sostenitori, fino a pochi giorni fa, lo chiamavano “il sindaco della gente”. Candidato solo il 5 marzo, il 37enne esperto di maketing, ha messo in piedi, col sostegno di altre sette liste, una campagna priva di polemiche personali con il concorrente di centrosinistra Piero Fassino. Da una parte il programma elettorale “10per10” cucito su misura per i cittadini, basato cioè su dieci soluzioni per ognuno dei quartieri della città; dall’altra, un piano di comunicazione che, attraverso internet, video e applicazioni per smartphone, gli ha permesso di guadagnare una grande visibilità.

Assessore Coppola, la sua campagna elettorale si è contraddistinta per la sua capacità di comunicare attraverso gli strumenti che offre la rete. I risultati, però, non sono stati quelli sperati. Cos’è che non ha funzionato?

Il metodo ha funzionato e del risultato non posso lamentarmi. Sono soddisfatto per aver ricevuto un consenso superiore a quello delle liste che mi sostenevano: è un ottimo riconoscimento da parte dei torinesi. Bisogna però dire che la mia candidatura è avvenuta il 5 marzo: con questi tempi un recupero era difficile e non siamo riusciti ad evidenziare quanto fosse importante l’alternanza nella gestione della città di Torino. Tuttavia, nonostante la nostra campagna fosse da ‘followers’, siamo riusciti a far entrare nell’agenda dell’amministrazione alcuni temi che non erano stati mai presi in considerazione.

Dunque un sito internet sempre aggiornato, il video streaming e l’applicazione per smartphone non sono ancora sufficienti per conquistare preferenze.

Ho 37 anni e faccio queste cose per oggi ma, soprattutto, per domani. Quando si avvia un’azienda si scommette su come potrebbe andare il mercato. In politica è lo stesso: sto scommettendo sulle nuove modalità con cui, domani, l’elettorato si confronterà con gli amministratori.

Quello di Fassino è un programma “tradizionale”: lavoro ai giovani, sostegno alle imprese, programmi di edilizia per le giovani coppie e molto altro. Il suo, al contrario, attraverso la valutazione delle priorità per ogni singola circoscrizione, era incentrato su problemi che, di solito, i cittadini considerano più familiari. E’ un modello che a Torino non ha funzionato, perché?

Nel nostro programma c’era un’attenzione particolare alle scelte strategiche macroscopiche per Torino. Ad ogni modo credo che i servizi quotidiani per i cittadini siano il miglior biglietto da visita di una città. Io ho insistito affinché la campagna fosse incentrata solo sui problemi della città.

Quanto ha influito la politica nazionale del centrodestra sul voto amministrativo?

Probabilmente i risultati sono il frutto di una combinazione di più fattori. A Torino ha avuto effetto sia la politica nazionale che l’elemento di continuità. Torino è una città amministrata da vent’anni dalle stesse persone e Fassino, nonostante il deficit di bilancio, è riuscito ad ottenere nuovamente la fiducia. Forse i cittadini non hanno avvertito la necessità di cambiare.

I candidati di centrodestra hanno ricevuto il dovuto sostegno da parte dei partiti?

I candidati di Pdl, Lega e Destra, che sono espressione dei partiti, hanno lavorato tanto e bene, sia in Comune che nelle circoscrizioni. Se la domanda è: c’è qualche parlamentare che non ha lavorato come avrebbe dovuto? La risposta è affermativa.

Chi?

Un sottosegretario ha detto che Fassino avrebbe vinto perché noi non siamo capaci di lavorare: avrebbe fatto meglio a partecipare un po’ più alla campagna elettorale. Ad ogni modo la prima volta che andai ad Arcore ero un ragazzino, quindi conosco bene il mondo del Pdl e le sue diversità non mi stupiscono. Per il resto, il coordinatore regionale Enzo Ghigo e il presidente Roberto Cota hanno lavorato bene.

Quali sono stati gli errori che sta facendo il centrodestra in campagna elettorale?

Io non posso dare lezioni a nessuno. A Torino, però, non abbiamo scelto di fare una campagna aggressiva. A volte si è discusso in modo molto acceso con l’avversario ma i toni sono stati sempre pacati. Una campagna “gridata” non avrebbe funzionato in questa città. Gli elettori sono stufi di accendere la televisione e vedere politici che si mandano a quel paese.

Quali potrebbero essere le strategie vincenti che i candidati del Pdl possono adottare nei prossimi quindici giorni?

Arrivati a questo punto gli elettori sceglieranno una persona o l’altra. Quindi, a Napoli, mi auguro che il candidato sottolinei gli aspetti negativi di avere un sindaco come De Magistris. A Milano la Moratti deve parlare da sindaco. Un sindaco non può accusare l’avversario con i toni che ha usato finora ma deve porre l’accento sulle cose che ha fatto e che ha intenzione di fare per la città. Ho sentito che ha detto di aver sbagliato i toni e di aver parlato poco del programma. Perfetto: ha quindici giorni per confermare la fiducia che i milanesi le avevano già accordato.

E più in generale su cosa dovrebbe puntare il centrodestra?

Deve rimanere nel merito dei problemi del Paese senza allontanarsi dalle questioni che riguardano i cittadini. E’ vero, questa linea non ha sfondato a Torino, ma rimango fermamente delle mie opinioni. Rifarei la stessa campagna perché sono convinto che questa visione politica sia l’inizio di un nuovo modo di far parte del Pdl nella mia città.