L’American Enterprise Institute, storico think tank americano che dal 1943 si occupa di promuovere la ricerca e il dibattito in merito a temi di economia, politica, benessere sociale, istruzione e immigrazione, prosegue con la propria analisi della campagna presidenziale statunitense. Con l’avvicinarsi del voto negli USA il prossimo 4 novembre, una commissione di esperti, giornalisti e analisti politici d’oltreoceano ha analizzato e commentato il vantaggio di Barack Obama negli ultimi sondaggi, gli spostamenti interni all’elettorato che lo hanno favorito e quelli che sembrano invece avvantaggiare John McCain, gli effetti della crisi economica nonché la controversa figura di Sarah Palin in tutta la sua complessità del suo ruolo all’interno del ticket presidenziale Repubblicano.
Karlyn Bowman, scienziata politica ed editorialista per l’AEI, apre i lavori soffermandosi sul fatto che negli Stati Uniti non si è mai verificata una crisi economica così seria così a ridosso delle elezioni; nemmeno nel 1988, quando pure i mercati si trovavano in seria difficoltà ancora incapaci di riprendersi dopo il Lunedì Nero dell’ottobre 1987, la situazione a Wall Street influì solo in maniera minima sulla corsa alla Casa Bianca, principalmente in virtù della soddisfazione diffusa verso la presidenza Reagan appena conclusasi.
Tuttavia, il motivo per cui la crisi dei mercati oggi incide così pesantemente sulla campagna elettorale non è semplicemente da ricondursi al fatto che la Presidenza Bush è impopolare e che l’economia americana oggi è, a tutti gli effetti, in difficoltà. Complice la quasi ossessiva attenzione da parte dei media, gli americani al momento reputano le questioni economiche fondamentali per la loro esistenza. In ogni caso è bene ricordare, puntualizza Karlyn Bowman, che più che Wall Street o gli scandali di corruzione il pubblico statunitense segue le money stories, ovvero si appassiona e soffre per quell’insieme di racconti e consigli diffusi tramite internet e riviste più o meno specializzate su come risparmiare, come costruirsi un piccolo patrimonio stabile e duraturo, in breve come fare fortuna – in altre parole, il sogno americano. Difatti, prosegue la studiosa, solo una parte minima del Paese investe in Borsa e si occupa attivamente del mercato dei cambi (circa il 7%); solo 4 americani su 10 effettua investimenti a lungo termine, mentre il 46% non ha nulla a che fare con gli investimenti di mercato, ed è in possesso di un mutuo relativamente solido. In questo senso, non sorprende che quello che l’elettorato identifica come "la crisi economica" in realtà non è il crollo degli indici di borsa o il fallimento delle aziende, bensì si identifica principalmente con la paura di non riuscire a realizzare l’American dream: avere una casa propria, un piccolo gruzzolo da parte, e vedere alzarsi i prezzi della benzina. Questa analisi getta nuova luce sul modo in cui Obama viene percepito maggiormente in grado di gestire gli economic issues – ovvero, viene reputato capace di mantenere saldo il sogno americano della middle America.Tuttavia, nota Karlyn Bowman, sull’economia Obama non vanta più un ampio margine di vantaggio su McCain come invece accadeva prima delle conventions estive dei due partiti: oggi, le fonti indipendenti giudicano entrambe i candidati egualmente competenti nell’affrontare la crisi che tocca gli Stati Uniti. Riguardo all’effetto della convention Repubblicana, Bowman nota in primo luogo che l’incontro a Saint Paul, Minnesota, di inizio settembre ha prodotto in primo luogo un aumento significativo in quella che si definisce la perceived ability del Grand Old Party, ovvero la fiducia che gli elettori hanno nel proprio partito ritenendolo capace di agire efficacemente all’interno del quadro politico-amministrativo del paese; in secondo luogo, la convention Repubblicana ha contribuito ad aumentare il fenomeno del party identification, ovvero la volontà degli elettori di riconoscersi nel proprio schieramento; ed infine ha suscitato in coloro che si definiscono Republicans un entusiasmo contagioso. La candidatura di Sarah Palin ha decisamente contribuito a quest’ultimo fattore, andando inoltre a modificare l’immagine di John McCain riguardo ad alcuni temi fondamentali – ad esempio le politiche energetiche, riguardo alle quali si ha ora grazie a Palin un’immagine più dinamica e moderna dei Repubblicani; e, ancora più importante, la giovane Governatrice dell’Alaska ha ridotto considerevolmente il monopolio di Barack Obama sull’idea di cambiamento, "svecchiando" l’immagine di quello che infatti non a caso è ancora definito Grand Old Party.
Norman J. Ornstein – scienziato politico ed esperto di politiche pubbliche – prosegue il dibattito, soffermandosi ulteriormente sulla figura di Sarah Palin – la candidata vicepresidente più carina dai tempi di John Edwards, scherza lo studioso, strappando qualche risata alla platea. Palin è stata in grado di entusiasmare l’America, in particolar modo i Repubblicani, concorda Ornstein; così, mentre McCain cerca di mantenersi al passo con i tempi, adattando le sue proposte politiche a questo momento di costante cambiamento, il compito di Palin è ora quello di mantenere vivo l’entusiasmo nei confronti del Grand Old Party, e seguitare a tenere fedeli alla coalizione quelli che lo stesso McCain aveva definito, in un momento di disorientamento, gli "agenti dell’intolleranza" – la destra religiosa e i conservatori più tradizionalisti appartenenti alla classe media. Ora più che mai il Partito Repubblicano – inclusa la sua parte più devota, è il partito di John McCain, un movimento coeso e con tanta voglia di vincere. Una cosa è certa, ribadisce Ornstein: nel corso di questa campagna presidenziale ci saranno ancora altre sorprese, così come già sinora sono state la scelta di Sarah Palin, l’invasione della Georgia da parte della Russia, il collasso di Lehmann Bros, Merrill Lynch ed AIG. L’economia non è mai stata un punto forte per John McCain, unitamente al fatto che molti americani lo vedono ancora come il tipico Repubblicano, troppo simile a George W. Bush per poter veramente cambiare le cose e condurre il paese fuori dalla crisi; molto però può ancora cambiare, specialmente nel campo della sicurezza nazionale, dove Obama fatica ad affermarsi come autorevole commander in chief e John McCain suscita invece sentimenti di autorevolezza e affidabilità nell’elettorato. Altri avvenimenti potrebbero ancora verificarsi e andare a incidere su una situazione già parecchio transitoria; sebbene il quadro generale sia più favorevole ai Democratici ed il vantaggio sia nelle mani di Obama, nel complesso i candidati hanno, secondo i sondaggi più attendibili, una differenza di circa 4 punti percentuali a favore di Obama, lo stesso che accadeva a giugno e luglio di quest’anno – differenza che è andata pesantemente oscillando dopo le conventions estive, ma che nelle ultime settimane è andata riequilibrandosi. Si può dunque concludere che siamo sostanzialmente nella stessa situazione dell’inizio dell’estate, difficile da leggere, e che gli scenari futuri sono ancora incerti.
Prende a questo punto la parola Michael Barone, analista politico e giornalista per U.S. News & World Report, e fondatore dell’Almanac of American Politics. Barone concorda con il collega Ornstein sul fatto che molti avvenimenti inaspettati possono ancora cambiare le cose – le tendenze dei mercati finanziari, la situazione in Georgia, le future mosse del vicepresidente. Su quest’ultimo argomento, Barone condivide quanto detto dai colleghi sul fatto che la scelta di Sarah Palin ha generato entusiasmo, ed una base più compatta per il partito. L’accanirsi della stampa su McCain e Palin – nell’ultimo caso spesso in maniera ingiustificata e di cattivo gusto – ha portato i Repubblicani a unirsi per formare un fronte compatto, ma non solo. Quando un personaggio è così controverso, nota lo studioso, gli americani vogliono decidere da soli cosa pensare, ed è per questo così tante persone hanno preferito ascoltare il discorso di Palin alla convention e guardare il suo confronto televisivo con Joe Biden, piuttosto che dare ascolto a quelle che venivano percepite come calunnie della stampa. La maggior parte di coloro che hanno ascoltato direttamente Palin concordano che sia un’eccellente oratrice, una buona scelta come vicepresidente, competente in ogni campo, e che abbia fatto la cosa giusta a candidarsi. L’atteggiamento decisamente di parte della stampa statunitense, prosegue Barone, ha aiutato però i Repubblicani anche in un altro senso: la percezione della gente comune, per circa il 70 per cento, è che la stampa appoggia e cerca di favorire Barack Obama, e tale press bias rende da un lato la stampa stessa nel complesso meno credibile, e dall’altro suscita sentimenti di simpatia verso i Repubblicani eccessivamente demonizzati – specialmente nel caso di Palin, capace di quello che viene definito reach out, il parlare all’anima della gente comune.
John Fortier, scienziato politico ed editorialista,conclude i lavori soffermandosi sul fenomeno dell’absentee ed early voting. Data la particolare conformazione del sistema elettorale statunitense, ricorda lo studioso, è possibile per alcuni cittadini ricorrere al voto postale anticipato, oppure in via telematica; questo significa che a molti americani è stato permesso esprimere la propria preferenza sin dalla metà di settembre. Si tratta di persone che votano senza le informazioni che abbiamo noi oggi, senza aver seguito tutti i dibattiti presidenziali o aver avuto gli ultimi aggiornamenti sulla crisi economica: seppur vero è che i sondaggi riportano come la maggior parte di questo elettorato sui generis non esprima comunque la propria preferenza sino ad una-due settimane dal giorno stabilito ufficialmente, c’è comunque un’alta percentuale di early voters registrati in Stati chiave come Colorado, Nevada e New Mexico. È necessario tenere conto anche di questo fattore quando si valutano i movimenti elettorali e i mutamenti nei sondaggi di queste settimane a ridosso dell’appuntamento del 4 novembre. Riguardo a Sarah Palin, John Fortier ribadisce come – che lei possa piacere o meno – è innegabile che la Governatrice dell’Alaska abbia infiammato lo "zoccolo duro" dei Repubblicani, ed abbia altrettanto efficacemente fatto infuriare la base del Partito Democratico ed i media, seppur mantenendo un contatto diretto e proficuo con la middle class America, dagli ex-sostenitori di Hillary Clinton ai cosiddetti WASP (White, Anglo-Saxon and Protestant), sino agli indipendenti, causando anche qualche conversione famosa – Donald Trump ad esempio – e qualche ripensamento persino tra i Democratici più moderati. Seppur negli Stati Uniti non si vota per il vicepresidente, ma per il leader del ticket presidenziale e del partito, i sondaggi comunque dimostrano che l’effetto Palin per il Grand Old Party è stato positivo ed importante. Ora che l’economia sta riprendendo il posto centrale nel dibattito politico, la figura di Sarah Palin non va assolutamente accantonata.