Gli estremisti seminano terrore in Pakistan e lanciano la sfida a Zardari

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Gli estremisti seminano terrore in Pakistan e lanciano la sfida a Zardari

23 Settembre 2008

Dopo le avvisaglie estive, i militanti islamisti hanno inferto un durissimo colpo al governo del Pakistan. Mentre nel Paese si consumava la vendetta politica del clan Bhutto nei confronti di Pervez Musharraf, con l’ex uomo forte degli Usa a Islamabad costretto alle dimissioni di fronte allo spettro dell’impeachment e Asif Ali Zardari eletto alla presidenza,  talebani e al-Qaeda hanno cominciato a puntare le grandi città pakistane, muovendosi dai loro santuari nelle aree tribali (Fata) al confine con l’Afghanistan.

 

L’attentato dinamitardo al Marriott Hotel di Islamabad, portato a compimento sabato scorso da un terrorista suicida a bordo di un camion, ha generato una grande onda emotiva in tutto il Pakistan: si parla senza mezzi termini di un 11 settembre nazionale. Il macabro resoconto della carneficina parla di 80 morti e più di 250 feriti. Per l’attacco sarebbero stati usati 600 kg di esplosivo (una miscela di tritolo e Rdx). Rehman Malik, il consigliere del primo ministro pakistano in materia di sicurezza, ha dichiarato che con ogni probabilità l’attacco aveva come obiettivo la decapitazione dei vertici politici e militari del Paese.  

 

Malik ha infatti spiegato che sabato sera, nel grande albergo al centro di Islamabad, era stata cancellata all’ultimo minuto una cena a cui avrebbero dovuto partecipare Zardari, il primo ministro Yusuf Raza Gilani e il capo delle Forze armate Ashfaq Pervez Kiani. Fonti del Federal Bureau of Investigation (Fbi) di Washington sostengono invece che i bersagli dei militanti erano in realtà i funzionari della Central Intelligence Agency (Cia) e i marines presenti in quel momento nell’hotel. Tra le vittime, infatti, si segnalano – oltre all’ambasciatore ceco accreditato nel Paese – anche due soldati americani. 

Due ipotesi che non convincono la maggior parte degli osservatori, più propensi a interpretare quanto accaduto al Marriott Hotel come un salto di qualità nella guerra al terrore, con i fondamentalisti che passano dalla guerriglia localizzata in determinate aree del Paese a una guerra a tutto campo contro gli americani in Pakistan. L’obiettivo sarebbe dunque quello di indebolire la cooperazione tra Washington e Islamabad, prima che gli Usa lancino un attacco su larga scala nelle Fata e nella North-West Frontier Province (Nwfp) per snidare dai loro rifugi i miliziani talebani e quelli di al-Qaeda.  

La campagna militare in corso nell’area tribale di Bajaur, dove l’Esercito pakistano è impegnato in combattimenti contro circa tremila miliziani, segna un vero e proprio spartiacque nella crisi, dopo mesi di trattative e di tregue armate – poi disattese – con l’organizzazione ombrello dei talebani pakistani, Tehrik-i-Taliban. Il sequestro ieri a Peshawar di Abdul Khaliq Farahi, l’ambasciatore in pectore di Kabul in Pakistan, è un ulteriore indizio che il quadro interno pakistano è in costante deterioramento. 

Nelle ultime settimane – almeno verbalmente – la tensione tra Washington e Islamabad ha registrato una impennata. I motivi del dissidio sono da ricercare nelle incursioni che le forze speciali americane hanno condotto recentemente in territorio pakistano dalle loro postazioni in Afghanistan. Proprio ieri, nel Nord Waziristan, due elicotteri Usa sono stati respinti oltre il confine afghano dal fuoco dei militari di Islamabad. 

Accantonato Musharraf con tutte le sue ambiguità, gli Stati Uniti scommettono ora su Zardari per sconfiggere in Pakistan la guerriglia fondamentalista. Nei prossimi giorni, a margine della sessione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il vedovo di Benazir Bhutto incontrerà G. W. Bush per fare il punto sulla situazione, in particolare riguardo ai raid americani in territorio pakistano, che sono costati la vita a molti civili inermi. Poche ore prima del drammatico attentato al Marriott Hotel, Zardari aveva pronunciato un discorso al Parlamento riunito in seduta comune, assumendo una posizione molto dura nei confronti del terrorismo islamista. Il successore di Musharraf aveva parlato senza indugi di un cancro da estirpare con ogni mezzo.  

Una presa di posizione alla quale si sono uniti anche i militari, ma che mette una enorme pressione al neopresidente pakistano, chiamato ora a presentare qualche risultato tangibile. Sarà per Zardari un compito improbo esaudire le richieste degli Usa e parallelamente mantenere intatta la fiducia dei pakistani, che in larga maggioranza si oppongono alla campagna antiterrorismo di Washington. Come sarà difficile per il nuovo uomo forte di Islamabad cambiare il corso degli eventi senza prima riuscire a imbrigliare lo ‘Stato profondo’ pakistano: quei settori delle Forze armate e dell’intelligence (Isi) che giocano spregiudicatamente su due tavoli, flirtando anche con i talebani.  

I recenti attentati dinamitardi a New Delhi dimostrano che la campagna orchestrata dai ‘poteri occulti’ pakistani per destabilizzare il vicino indiano è più viva che mai. Il Pakistan non potrà certo sopravvivere a una politica fatta di infiniti equilibrismi, grazie alla quale si vorrebbe combattere il terrorismo in casa e allo stesso tempo usarlo per colpire i propri rivali regionali. L’evoluzione delle relazioni con l’India sarà la cartina di tornasole per saggiare il peso specifico di Zardari, che più di qualcuno in Pakistan vede condannato a recitare il ruolo di clone (disarmato) di Musharraf. 

Il clima a Islamabad è in ebollizione. A quanto riportato da Asia Times, 300 agenti americani sarebbero giunti di recente a Tarbella, piccolo centro a 20 km dalla capitale, dove ha sede il quartier generale della Task Force per le operazioni speciali del Pakistan (Sotf). Dai documenti visionati, si evince che sarebbero stati inviati in terra pakistana per supervisionare un semplice programma di addestramento. 

Una presenza a dire il vero alquanto sospetta, secondo alcuni esperti locali. A metà anni Novanta, infatti, durante il governo di Nawaz Sharif, una unità speciale della Cia incaricata di catturare Osama bin Laden, stazionava esattamente presso la struttura di comando della Sotf. Gli agenti che la componevano abbandonarono il Paese solo nel 1999, dopo il golpe incruento con cui Musharraf conquistò il potere. Fonti sul posto parlano di strani movimenti nei pressi di un vasto appezzamento di terreno acquistato da poco dal governo americano, dove gli agenti Usa starebbero ammassando veicoli corazzati, armi e munizioni: materiale insomma per una offensiva ad ampio raggio nelle Fata e nella Nwfp.