Gli F4 e l’epopea dell’eroismo “normale”

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Gli F4 e l’epopea dell’eroismo “normale”

20 Giugno 2007

Per le giovani generazioni fumetto vuol dire X-Men, Spawn,
Sin City, Watchmen, i personaggi dei Manga giapponesi, ma per coloro che nel
lontano 1978 mettevano i loro occhi per la prima volta sopra gli albi della
Marvel che la Editoriale Corno si apprestava a riproporre dopo la fugace
apparizione del 1971, Supereroi ha da sempre voluto dire, prima di tutto e
tutti, I Fantastici Quattro.

E in questi giorni, al termine di una primavera fumettara come
non mai, Reed Richards “Mister Fantastic”, Susan Storm “La Donna Invisibile”,
Johnny Storm “La Torcia Umana” e Ben Grimm “La Cosa”, ritornano in grande stile
nelle sale cinematografiche, sempre per la regia di Tim Story, a due anni dal
primo film che ha visto gli eroi per antonomasia della Marvel far storcere il naso
ai critici ma sbancare comunque i botteghini italiani e di tutto il mondo,
nonostante l’uscita pre-vacanziera.

Il cast dei personaggi principali resta quello del primo
discusso film, Ioan Gruffudd, Jessica Alba, Chris Evans, Michael Chiklis, Doug Jones, Julian McMahon, Kerry Washington, Andre Braughter, ma nel sequel, attraverso il
racconto della minaccia cosmica portata sulla terra dal misterioso Silver
Surfer, araldo di Galactus il Distruttore dei Mondi, quel “sense of wonder” per
cui la serie a fumetti ha segnato l’immaginario di generazioni su generazioni
arriva finalmente allo spettatore.

I pregevoli effetti speciali riescono a far dimenticare
all’appassionato le inevitabili forzature della riproduzione cinematografica ed
una recitazione francamente mediocre che non impedisce comunque al film di far
rivivere per lunghi tratti il fumetto, come nelle scene della cattura di Silver
Surfer o nelle operazioni di salvataggio della popolazione dal crollo della
Grande Ruota di Londra, destinata a schiantarsi nel Tamigi.

Esserci riusciti non è poco. F4 ha infatti accompagnato la
generazione dei trenta-quarantenni di oggi molto più di quanto sia dato
pensare. Senza di loro molto della cultura di massa condivisa che conosciamo
non sarebbe esistito. Serie come Star Trek o Spazio 1999, devono loro molto,
ancora oggi a distanza di più di quarantacinque anni. Personaggi come il Darth
Vader di George Lucas, che hanno fatto la storia del cinema, senza Supervillains
come il Dottor Doom, non sarebbero mai esistiti, lo stesso Silver Surfer,
sconosciuto ai più in Italia, furoreggiava nelle giovani generazioni
psichedeliche degli States anni ’70 al punto da meritarsi fotogrammi nel video
del Live in Hollywood dei Doors di Jim Morrison; insomma il debito letterario e
di costume nei confronti di una serie chiave per l’estetica popolare com’è
stata I Fantastici Quattro, è veramente difficile da delimitare.

F4 buca l’immaginario collettivo da subito perché in quelle
tavole dalla dubbia prospettiva e dalle mai impeccabili proporzioni, i quattro
eroi sono i primi del mondo fantasy a fare squadra, ad accompagnare al cammino
nel mondo del fantastico attraverso la loro “normalità”. Sono per l’appunto
persone normali, che conducono vite normali, hanno grandi poteri ma anche
grandi problemi, sono eroi che indossano una comoda tuta elastica, non proprio
una calzamaglia all’ultimo grido. Il senso del loro successo va cercato
nell’esaltazione del valore della famiglia, quella stravagante di due fratelli
e due amici che si ritrovano attorno a Papà Mister Fantastic, nella
rappresentazione della rivendicazione dei diritti della donna, con gli scandali
di Sue Storm (attrazioni fatali, aborto, espressione libera della propria
femminilità, ma anche leadership), nell’aperto confrontarsi e “scottarsi” con
le ansie e i giovanilismi, l’avventatezza dei Johnny Storm di tutto il mondo
che anticipa la deriva sessantottina, nella rivoluzione letteraria del
personaggio di Ben Grimm – La Cosa – messo lì a trasformare e per sempre la
figura del “mostro”, sino ad allora legato al sentimento dell’orrore e a figure
tragiche alla “The Elephant Man”.

La prima redazione del Marvel Comics Group era uno stanzino
in uno dei tanti piani del 655 di Madison Avenue, New York, presso la sede
della Canam Publishers poi Cadence Industries di Martin Goodman, il quale
credendo nella ripresa del mercato fumettistico dopo il crollo degli anni ’50
si affidò al genio visionario dello sconosciuto Stan Lieberman, in arte Stan
Lee, alla matita di Jack Kurtzberg, ovvero Jack “The King” Kirby, già salito
all’attenzione degli addetti ai lavori giovanissimo per la sue collaborazioni
con gli studi di animazione di Max Fleischer per la realizzazione di chicche
come Betty Boop e Braccio di Ferro. Lee ha più volte raccontato la magia di
quegli anni “Noi stavamo semplicemente lavorando; non ci siamo accorti di
nulla. Ci sembrava tutto così assurdo”.

Quella magia si diffuse in Italia sulle pagine degli albi
formato “Gigante” della casa editrice milanese, affacciandosi per la prima
volta nella nostra società un nuovo olimpo eroistico proveniente da una
cultura, tutta da scoprire, in un epoca in cui le tensioni sociali non si erano
ancora risolte nella piena emancipazione economica, nella libertà di muoversi,
di viaggiare che scoprimmo solamente negli ottanta. E furono senz’altro I
Fantastici Quattro, con il loro inaspettato successo di vendite, ad aprire le
porte del Comic World e della cultura popolare americana alla grande massa del
pubblico dei fumetti. Per le giovani generazioni di allora Manhattan era
Manhattan perché lì c’era il Baxter Building dei Fantastici Quattro, in quegli
anni proiettati anche sul piccolo schermo di Supergulp – Fumetti in TV.

La libertà e la democrazia per quelle giovani generazioni era qualcosa
che si poteva comprendere solo se eri nella scia della Torcia Umana. Il giovane
Tim Story ci regala ancora 92 minuti in quella scia.