Gli “Hikikomori” sono ragazzi che hanno recluso il cielo dentro Internet

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Gli “Hikikomori” sono ragazzi che hanno recluso il cielo dentro Internet

13 Aprile 2009

 Il mondo è chiuso fuori. Si sottraggono a tutto e a tutti. Fenomeno nato in Giappone, gli hikikomori sono ragazzi adolescenti che si chiudono nella loro stanza (circa un milione), non vanno più a scuola, non frequentano più nessuno e si rifiutano di parlare anche con i propri familiari, che diventano le loro guardie, i loro assistenti, fuori della porta. Il loro mondo è solo quello virtuale; internet viene usato per vivere raccontarsi, mettersi in contatto, e il fenomeno si allarga.

Studiato da fior di psichiatri, l’hikikomori non è ancora catalogato come una vera e propria patologia ma studiosi di psicologia, sociologia e scrittori stanno studiando questo fenomeno sociale che si allarga e comprende anche l’Italia. Anche qui da noi sono sempre di più i ragazzi che si ritirano dal mondo, come se sparissero nelle loro stanze, rifiutando e rinunciando a un luogo che sentono ostile, lontano, pericoloso. Rinunciano a vivere: sono ragazzi intelligenti, brillanti, che a volte dopo episodi scolastici o affettivi frustranti, in cui hanno vissuto sentimenti d’inadeguatezza, decidono di ritirarsi; altre volte non sembrano esserci episodi scatenanti che li costringono a questo ritiro forzato.

Difficili da gestire poiché estremi nella loro decisione, non lasciano entrare nessuno nel loro mondo e quando la porta della loro stanza si apre, nei casi più fortunati, non è certo per i familiari, gli amici o i professori, ma solo per qualche “addetto ai lavori” che riesce ad agganciarli e riportarli nel mondo. Sono per la maggioranza maschi che non riescono ad affrontare la vita di tutti i giorni: la scuola, gli amici, i familiari, l’amore. Tutto diviene troppo faticoso, insormontabile: le scelte, le decisioni, lo studio le relazioni. Non sembrano ragazzi depressi, sono sensibili e introversi, pare che non abbiano le coordinate per muoversi nella vita, il mondo li spaventa, e loro rinunciano.

Gli hikikomori giapponesi, sono figli di una cultura molto diversa dalla nostra, pressati da rigore e severità sia in famiglia sia a scuola devono rispondere a esigenze di omologazione e leggi sociali molto forti. Alcune analogie però si rintracciano con i nostri auto-reclusi che hanno meno severità a scuola e quindi meno preoccupazioni rispetto al rendimento scolastico, ma ne hanno molte di più rispetto ai rapporti interpersonali. Non avere abbastanza contatti su Messenger, o avere pochi indirizzi telefonici, può essere motivo di grande disagio e di forti sentimenti d’inadeguatezza. Non avere il ragazzo o la ragazza già a dodici anni può divenire una tragedia: si sentono incapaci, rispetto ai modelli perfetti ambiziosi ed erotici che la società gli impone.

L’idea che ci sia un tempo individuale diverso per ognuno nella crescita, non li sfiora nemmeno; devono avere ed essere, tutto e subito; devono essere vincenti e raggiungere il successo in ogni ambito. Dietro questo perfezionismo destinato a creare solo paura di non farcela e un senso di inadeguatezza, ci sono genitori iperprotettivi e ossessivi nel controllo delle attività dei loro figli. La continua protezione e mediazione da una parte, e la richiesta di prestazioni dall’altra li fa diventare fragili e narcisi, non permettendogli di raggiungere mai una vera autonomia.

Sono perennemente concentrati su se stessi e incapaci di affrontare le prove della vita. Le pressioni sociali e familiari, rispetto alle attese scolastiche, sportive e relazionali nei confronti di questi ragazzi divengono sempre più alte nel tempo. Vivere in modo virtuale diviene quindi una semplificazione della vita. Parlare attraverso Internet vuol dire non rischiare, vuol dire potersi esporre senza pagare il prezzo del confronto, dello sbaglio, è eliminato il rischio. Ad essere eliminata è la vita reale che costringe al confronto, all’errore, al rischio, alla partecipazione.

Ragazzi fragili, incapaci di far fronte alle prove del vivere quotidiano che non si fidano di se stessi e delle proprie capacità. Un voto basso, essere lasciati, litigare con l’amico, non avere un gruppo: possono essere vissuti come insuccessi e fallimenti non riparabili. I ragazzi non riescono a cogliere la transitorietà del fatto negativo, non lo vivono come un accadimento da prevedere, ma come la fine, di fronte alla quale si può solo sparire dal mondo e chiudersi in una stanza. L’iperprotezione e le pressioni a seguire modelli lontani da loro e irraggiungibili, non gli hanno permesso di acquisire la forza necessaria per sopportare il dolore e le delusioni come normali tappe della crescita. A

ccogliere i propri limiti e avere consapevolezza delle proprie fragilità si realizza nell’accettare lo sforzo del vivere, della noia, della ricerca di senso, delle regole,delle esperienze, strade che devono essere percorse da soli. Solo così si allena la propria autostima che, coltivata in modo adeguato, permette di vivere da protagonisti e artefici del proprio destino. Se così non è, si è in balia degli altri e del loro giudizio. Il mondo è vissuto come terribile minaccioso, da tenere fuori.