Gli incredibili retroscena della liberazione di Ingrid Betancourt
03 Luglio 2008
“Grazie alla sua impeccabile operazione… è stata un’operazione perfetta”. Ingrid Betancourt è stata liberata da meno di un’ora quando pronuncia queste prime commosse parole di ringraziamento, rivolte in primis al presidente colombiano, Alvaro Uribe, al comandante in capo dell’esercito, Mario Montoya Uribe, e al ministro della Difesa, Juan Manuel Santos.
L’elicottero con le insegne della finta Ong terzomondista è appena atterrato nell’aeroporto di Catam, una base militare di Bogotà, non lontana dalla giungla in cui si nascondono i membri dell’esercito dei narcotrafficanti terroristi marxisti-leninisti delle Farc. L’operazione “Jacque” è da poco terminata e il mondo sta apprendendo dalla viva voce di Ingrid Betancourt della sua liberazione. Un’operazione antiterrorismo targata Cia e degna di essere menzionata nei futuri libri di testo aggiornati delle accademie militari.
Oscurando il ricordo del raid israeliano di Entebbe in Uganda, quando il 27 giugno del 1976 un commando dello stato ebraico riuscì a liberare gli ostaggi del gruppo terrorista misto tra palestinesi e membri della Rote arme fraction (la Raf) tedesca. In quel caso purtroppo lo spargimento di sangue fu inevitabile e anche alcuni ostaggi morirono. Ma nella selva di Tomachipan nella regione del Guaviare, a 62 chilometri da San Josè, gli uomini delle forze speciali non hanno dovuto sparare un solo colpo di pistola.
Agendo come Ulisse con il suo cavallo di Troia, due elicotteri di una fantomatica Ong guevarista sono entrati nella tana del lupo (con il permesso del lupo) per prendere gli ostaggi e portarli “in un luogo più sicuro”. Con la Betancourt c’erano quindi anche i tre cittadini americani finiti nelle mani della guerriglia dopo che l’aereo con cui curavano le defoliazioni delle piantagioni di coca era caduto nella giungla, nonché tredici ufficiali dell’esercito colombiano; una piccola frazione insomma degli altri 1.200 ostaggi tuttora nelle mani delle Farc. Nell’elicottero hanno trovato posto anche i due carcerieri incaricati di guardare a vista la Betancourt e i tre americani: Cesar, meglio conosciuto come Gerado Antonio Aguilar, ed “Enrique”, le cui generalità non sono ancora state rese note. Probabilmente, è grazie alla corruzione dei due uomini che si è resa possibile l’operazione d’infiltraggio. Il loro arresto è avvenuto per evitare che fossero lasciati alla mercé dei propri compagni dopo il blitz. Ma si parla anche della disponibilità di un pezzo grosso delle Farc a trasferire gli ostaggi e di conseguenza a collaborare con la Ong dietro cui si celava l’esercito di Uribe.
I preparativi dell’operazione hanno preso il via un anno e mezzo fa, quando un altro prigioniero delle Farc riuscì a liberarsi e a fuggire nella giungla. L’uomo raccontò particolari determinanti per identificare il territorio esatto dove agivano i guerriglieri. Negli scorsi mesi, poi, due eventi hanno fatto precipitare la situazione a svantaggio delle Farc: la cattura dei computer di Alvaro Reyes, ucciso nella giungla ai confini con il Venezuela insieme ad altri diciassette terroristi suscitando l’ira di Chavez, nei quali si trovano le prove dei continui finanziamenti alle Farc; e la morte per infarto di un altro dei capi nello scorso marzo, il famigerato “Tirofijo”, al secolo Manuel Marulanda.
Le Farc si sono sentite circondate e a quel punto l’opera di infiltrazione degli uomini delle forze speciali colombiane ha avuto la meglio. Fondamentale è stata la regia della Cia, che ieri ha anche fermato in Florida un uomo d’affari americano sospettato di riciclare il denaro della cocaina per conto loro. I due carcerieri sono stati così “convinti” che la cosa migliore da fare fosse quella di trasferire tutti gli ostaggi con due elicotteri della suddetta Ong in un posto più sicuro. Magari a ridosso dei territori controllati da uno degli ultimi capi in libertà delle Farc, il “mono Jojoy”, al secolo Víctor Julio Suárez Rojas.
Giorni prima erano state diffuse ad arte notizie di un interessamento di Francia e Svizzera per possibili scambi umanitari tra gli ostaggi delle Farc e loro militanti prigionieri in Colombia da compiersi nel territorio di un altro dirigente dell’organizzazione, “Alfonso Cano”, al secolo Guillermo León Sáenz. Così i guerriglieri che avevano in mano gli ostaggi hanno acconsentito al trasferimento di questi ultimi a bordo di due grossi elicotteri da cui sono scesi una decina di uomini in tuta mimetica con icone di Che Guevara stampigliate sulla schiena.
Gli ostaggi sono stati presi a calci, come usano fare le Farc, in modo che nessuno dei guerriglieri che ha assistito alla scena, definita “surreale” dalla stessa Betancourt, potesse sospettare di niente, e caricati a forza sui due velivoli su cui sono saliti anche i due carcerieri. Entrambi oggi saranno portati davanti al tribunale colombiano che si occupa di crimini contro l’umanità, ma probabilmente il loro arresto e il processo fanno parte di una copertura per evitare rappresaglie da parte dei loro companeros.
Dopo dieci minuti di volo il pilota di uno degli elicotteri ha urlato: “Siamo dell’esercito nazionale e voi siete liberi”, e a bordo sarebbero tutti scoppiati a ridere e a piangere in maniera isterica, almeno secondo l’emozionante racconto fatto dalla Betancourt in diretta televisiva dall’aereoporto di Catam.
Un particolare riportato dal ministro della Giustizia colombiano, Manuel Santos, il coordinatore politico di tutta l’operazione “Jacques” o “cavallo di Troia”: “Potevamo ammazzare tutti i guerriglieri che tenevano prigioniera la Betancourt perché erano circondati, ma abbiamo scelto di lasciarli liberi e vivi perché meditino sulla resa e sulla pace con la Colombia e perché nel frattempo liberino le centinaia di altri ostaggi che hanno prigionieri ormai da anni”.