Gli inglesi abbandonano il multi culti ma Ferrero ignora la lezione di Tony Blair
28 Marzo 2007
Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha definito una “sciocchezza” la direttiva del governo britannico che consente ai presidi di proibire alle ragazze islamiche l’uso del velo a scuola. Bontà sua, il ministro ha anche aggiunto di non essere favorevole all’uso del velo. Piuttosto, ciò che non gli va a genio è il “contesto” in cui è avvenuta la decisione. Ebbene, se avesse avuto una migliore conoscenza proprio del contesto sociale che ha condotto alla direttiva, forse avrebbe usato parole più prudenti. In Gran Bretagna, il clima culturale è profondamente cambiato. Il multiculturalismo, una volta quasi un dogma, è stato definitivamente abbandonato. A questo cambiamento ha sicuramente contribuito la Chiesa anglicana, soprattutto grazie all’attivismo del vescovo anglo-pakistano Michael Nazir-Ali, ma è stata l’intera classe dirigente laburista, da Tony Blair al Presidente della House of Commons, Jack Straw, a determinare il cambiamento di rotta.
Innanzitutto, proprio per chiarire il contesto della direttiva, è opportuno ricordare che il problema del velo venne sollevato già vari mesi fa, quando un’insegnante musulmana, Aishah Azmi, venne sospesa dall’insegnamento per aver rifiutato di togliersi il velo durante le ore di lezione. Di fronte al ricorso di Azmi, il tribunale del lavoro ha dato ragione alla scuola della città di Dewsbury, nello Yokshire occidentale. La motivazione giustificava il provvedimento sulla base che la comunicazione “faccia a faccia” era ampiamente raccomandabile, specialmente in una scuola dove molti studenti non sono di madre-lingua inglese. Fu pochi giorni prima della decisione del tribunale che Jack Straw, in un polemico intervento, disse che il velo “impedisce positive relazioni sociali”. È chiaro che una simile decisione costituisce un precedente importante anche per quanto riguarda le studentesse islamiche. Il caso della studentessa dodicenne Shabina Begum, in questi giorni riportato dai giornali italiani, va inquadrato all’interno di questi precedenti giuridici e politici.
Come ha sostenuto Nazir-Ali, nel secondo dopoguerra le comunità musulmane britanniche aderivano ad una versione mistica e del tutto apolitica dell’Islam. Dopo anni di politiche multiculturaliste, formalmente volte ad agevolare il loro senso di appartenenza storica, si sono trasformate in qualcosa di assai diverso. Lo stesso Nazir-Ali, che per ragioni personali conosce molto bene il mondo islamico, documenta come oggi le comunità musulmane britanniche siano dominate da un forte radicalismo politico, al punto che gli estremisti riescono persino a intimidire le componenti più moderate. Nazir-Ali ritiene che il multiculturalismo sia il principale responsabile della trasformazione. Tony Blair e l’intero governo britannico gli hanno dato di fatto ragione.
Per capire le ragioni dei pericoli insiti nelle politiche multiculturaliste, è opportuno cominciare col fare chiarezza sul significato stesso del multiculturalismo. All’apparenza, il multiculturalismo sembra essere una dottrina che favorisce la tolleranza e la pacifica coesistenza sociale. In fondo, la stessa immagine delle “società arcobaleno”, suggerita dai multiculturalisti, sembra suggerire un mondo dove la tolleranza regna sovrana. Tuttavia, la realtà è ben diversa. In Gran Bretagna, il multiculturalismo ha preso la forma di politiche volte a aumentare il senso di appartenenza nei confronti della comunità di origine a discapito del senso di appartenenza alla società britannica. In quegli anni, la paura era che l’integrazione potesse significare omologazione, con la perdita della memoria delle proprie origini. La conseguenza, veramente devastante, è stata evidenziata da un’indagine condotta dal Daily Telegraph dopo gli attentati alla metropolitana di Londra: la grande maggioranza dei musulmani britannici si sentono più vicini ai paesi arabi che ai loro concittadini. È questo un dato di fatto emblematico, che da solo giustifica il ripensamento sull’efficacia delle politiche del multiculturalismo.
La Gran Bretagna offre importanti spunti di riflessione. Il suo esempio mostra quanto sia difficile porre riparo ai guasti di politiche sbagliate. La Gran Bretagna è stata per molti anni a capo di un impero multietnico. La loro esperienza in materia è di gran lunga superiore a quella italiana. Per questo motivo, è importante capire cosa sta succedendo in questo paese. Potrebbe aiutarci ad evitare i loro errori di fronte ad una immigrazione che, per ragioni economiche e sociali, in futuro diventerà sempre più consistente. Purtroppo, battute come quella del nostro ministro non aiutano il dibattito in Italia. Ancora oggi, non mancano coloro che confondono la critica al multiculturalismo con una implicita fobia verso le altre culture. Il ministro Ferrero, temo, è tra queste persone. È, questa sì, una sciocchezza che dobbiamo dissipare se vogliamo attrezzarci culturalmente a gestire società che diventeranno sempre più complesse.
Pierluigi Barrotta