Gli italiani della “Stay Human” sanno di provocare ma partono lo stesso
01 Luglio 2011
Dovrebbe essere in procinto di partire per Gaza la seconda “flottiglia umanitaria” di pacifisti, decisa a tentare nuovamente di forzare il blocco israeliano. Nel maggio dell’anno scorso, tale azione illegale ha portato all’uccisione di 9 persone. L’epicentro dell’operazione è stata la nave Mavi Marmara, presa in affitto dall’organizzazione non governativa turca IHH, che ha legami con l’esecutivo di Ankara e su cui pende l’accusa di sostenere il movimento politico-terroristico Hamas, al potere nella Striscia dal 2007.
Non si trattava di una semplice, pacifica flotta di aiuti umanitari: “per ogni evenienza”, i suoi occupanti si sono portati spranghe e coltelli.
Ora, non si sa se 9 o 10 navi della “Freedom Flottiglia”, chiamata “Stay Human” (“Restiamo umani”) in onore di Vittorio Arrigoni, ripartono dal largo di Creta per dirigersi verso Gaza. Incerto anche il numero delle persone che parteciperanno: si parla di circa 350, provenienti da 22 nazioni diverse, come Canada, Francia, Grecia, Irlanda. Tra loro anche l’Italia (l’anno scorso c’erano pacifisti italiani, rimasti illesi, ma nessuna imbarcazione), con una nave dedicata a Stefano Chiarini, giornalista filo-palestinese de “Il Manifesto” e fondatore del Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila, morto nel 2007. “Sono state organizzate decine di feste e collette” per acquistare la nave, ormeggiata da tempo in un porto di Corfù, ha spiegato al “Foglio” Mila Pernice, una portavoce dell’ufficio centrale “Freedom Flottiglia II”, situato in una vecchia sede del Partito Comunista, al numero 61 di Via Baldassarre Orero, tra i quartieri romani di San Lorenzo e del Pigneto.
Tra le manifestazioni più riuscite per la raccolta fondi, quella dell’Università Orientale di Napoli, che ha dato il suo contributo per ottenere i 300.000 euro necessari all’acquisto. Sulla “Stefano Chiarini” possono stare 52 persone, compreso l’equipaggio: “Non è stato facile scegliere. Le richieste sono state migliaia”, ha detto la Pernice, trionfante. Gerusalemme ha ribadito di non voler lasciar passare la flotta e il Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha ricordato che esistono “modi legali” per portare aiuti alla popolazione civile della Striscia: attraccare al vicino porto israeliano di Ashdod o in quello egiziano di El-Arish (la storica Rosetta, a 50 km da Gaza), destinato ai controlli e, se non verranno trovate armi o munizioni, il carico (3.000 tonnellate di medicine e di cemento e un’ambulanza) verrà affidato ad associazioni come la Croce Rossa, che lo porterebbe poi, via terra, ai Palestinesi.
L’esercito israeliano teme che lo scopo della flottiglia sia quello di uccidere i soldati israeliani: "Sappiamo anche che una delle barche trasporta merci pericolose, sostanze chimiche incendiarie", ha detto il suo portavoce, tenente colonnello Avital Leibnovitz. Il Primo Ministro Benjamin (Bibi) Netanyahu ha dichiarato che non sarebbero stato permesso violare le acque israeliane e che i giornalisti sorpresi a bordo sarebbero stati espulsi per dieci anni dal Paese, ma viste le proteste della stampa internazionale, ha fatto marcia indietro: anche alla discussa giornalista israeliana di Haaretz Amira Hass ed a Menechem Gantz di Yedoth Ahronoth, è stato permesso d’imbarcarsi sulla flottiglia. Le forze militare hanno avuto l’ordine di avere un “contatto minimo”, con i “naviganti” e sarà permesso ad una cinquantina di giornalisti di salire anche sulle navi militari israeliane, perché possano documentare in modo trasparente lo svolgersi degli eventi. Leibnovitz avverte: “Se le vite dei nostri soldati saranno messe in pericolo, i nostri agiranno”, ma a sua volta precisa “vorrei evitare il contatto fisico”.
Israele è molto più preparato ad affrontare la flottiglia di quest’anno: “Le nostre forze sono pronte a fermare la flottiglia e a non permettere alle navi di raggiungere Gaza," ha detto il capo della Marina Eliezer Marom. Il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha invitato la flottiglia a desistere dal salpare per forzare il blocco israeliano e Washington ha messo in guardia i cittadini statunitensi dal partecipare all’operazione. Dal canto suo Mila Pernice ha affermato: “Siamo cauti per motivi di sicurezza. Ricordiamo solo una cosa al ministro Frattini: il nostro diritto a essere tutelati dallo Stato italiano”.
L’atmosfera che si respira alla base centrale è da teoria del complotto: “Sappiamo che ciò che stiamo facendo è una provocazione”, ha spiegato Mila Pernice, “ma è una provocazione giusta che può essere vista come ideologica soltanto da chi abbraccia il punto di vista degli interessi israeliani”. Non è ammesso nessun compromesso neppure sulla proposta concordata tra lo Stato ebraico e l’Egitto di mettere a disposizione il porto di El-Aresh. Il mantra è sempre lo stesso: “Vogliamo andare a Gaza”. Come se non ci fossero alternative se non quella di forzare il blocco, come Reth Butler in “Via col Vento”, ufficialmente per foraggiare i Sudisti, in realtà soltanto per guadagno.
Lui, dichiaratamente, non credeva alla Causa, ma i pacifisti anti-israeliani non sono consapevoli o sono intenzionati ad ignorare, il danno che potrebbero procurare agli 1,5 milioni di palestinesi che vivono a Gaza, gli stessi che sostengono di voler aiutare. Intanto si continua a morire in Paesi come la Siria, in balia del regime di Bashar Al-Assad, deciso a mantenere il proprio potere: lì, nessuna “flottiglia umanitaria” è interessata ad andare.