Gli italiani vogliono il bipolarismo i politici senza potere no
15 Novembre 2010
Dopo le elezioni generali del 2008 pareva che il riassetto del sistema politico italiano fosse a portata di mano. Avevamo un governo espressione immediata della volontà popolare, dotato di un consenso largo, in possesso di una maggioranza ampia in entrambe le camere. L’opposizione era raccolta in gran parte attorno al Pd e risultava priva, finalmente, della zavorra tardo comunista e antioccidentale. Non era utopistico immaginare che, nel corso della legislatura, sarebbe stato possibile chiudere la faticosa transizione italiana con uno straccio di riforma costituzionale, eradicando una volta per tutte la tabe partitocratica che funesta la democrazia italiana (governi instabili, congiure di palazzo, imboscate parlamentari, ribaltoni e simili piacevolezze).
A due anni e mezzo di distanza la situazione appare del tutto opposta, la metastasi partitocratica dilaga minacciando non solo questo governo (e l’obiettivo storico del governo di legislatura) ma anche i prossimi. Si ha la sensazione, insomma che sulla vita pubblica nostrana torni a incombere la minaccia di compagini governative di breve durata, rissose e inette, frutto di accordi trasformistici fra notabili e non limpida espressione della volontà popolare.
Occorre chiedersi, in primo luogo, se l’impressione avuta dopo le elezioni del 2008 era fallace. La risposta non lascia adito a dubbi. Nei sedici anni che ci separano dalla fine della prima repubblica l’orientamento dell’elettorato è sempre stato univoco. Il voto alle elezioni politiche ha espresso costantemente un orientamento favorevole alla semplificazione del quadro partitico. Tuttavia questa è un condizione necessaria ma non sufficiente per poter sconfiggere il malcostume partitocratico. Accanto a questo occorre una chiara visione delle poste in gioco e una tenace volontà di perseguire la strade delle riforme. L’esperienza ci ha dimostrato che entrambe queste condizioni mancavano.
Peraltro nel quadro di partenza c’erano delle debolezze nascoste che si sono accentuate con il trascorrere del tempo. Il centro destra conteneva al suo interno una forte ipoteca partitocratica. La Lega di Bossi (pur restando sempre leale al governo e al suo leader) ha costantemente lavorato per rafforzare il proprio orticello. Così il PdL, che doveva essere la casa comune dei moderati e dei conservatori, capace di offrire un riferimento anche agli elettori indecisi, è nato in parte zoppo. Data l’atmosfera che tira nei palazzi romani, non stupisce che su questa debolezza di fondo si siano aggiunte, cammin facendo, frustrazioni e ambizioni personali che hanno portato alla scissione futurista.
Il centro sinistra stava ancora peggio. La leadership di Veltroni, che pareva forte, è stata subito insidiata all’interno e all’esterno da dorotei e giustizialisti di sinistra. Così, dopo aver buttato a mare il patrimonio di credibilità comunque raggranellato durante le elezioni, la dirigenza del Pd ha abbandonato la vocazione maggioritaria, tornando a ragionare in una logica di breve o brevissimo periodo. Convinti di non poter vincere le prossime elezioni hanno ripreso (con un impegno degno di una causa migliore) a lavorare alacremente per la spallata al governo.
A questo punto la situazione appare davvero compromessa. La cosa migliore da fare per arginare la metastasi è tornare appena possibile alle urne. Tuttavia anche se, come è ragionevole pensare, il voto dovesse confermare la fiducia alla maggioranza, ridimensionando anche le escrescenze parassitarie che infestano il panorama politico, questo sarebbe solo un espediente temporaneo. Occorre invece, cominciando già dalla campagna elettorale, prendere di petto il problema e tornare a impegnarsi non genericamente per le riforme istituzionali. Enunciare le linee essenziali di una riforma della costituzione è abbastanza semplice: governo legittimato dal voto popolare, che resta in carica per un tempo prefissato, riduzione del numero dei parlamentari, monocameralismo tendenziale. Tuttavia, per salvare la democrazia italiana dal marasma che la minaccia, occorre essere consapevoli che la riforma della costituzione va messa subito all’ordine del giorno e perseguita con tenacia e determinazione. Altrimenti anche una nuova vittoria elettorale non varrà molto più di un effimero sondaggio di opinione.