Gli osservatori europei a Rafah vogliono piani di fuga
21 Marzo 2007
“Trovateci una via di fuga in caso che quelli ci sparino addosso”.
Quelli sono gli uomini di Hamas e di Fatah a ridosso del
valico di Rafah, che separa l’Egitto dalla striscia di Gaza e da cui entrano
tutti i rifornimenti militari per i terroristi. Gli aspiranti fuggitivi sono
gli 80 osservatori scelti dalla Ue, con comando tutto italiano, per vigilare il
medesimo valico.
In Israele da una parte sono molto preoccupati per la
situazione che si sta creando con gli 80 europei che devono monitorare il
valico di Rafah dopo il ritiro unilaterale da Gaza dell’esercito che avvenne a
giugno del 2005. Da un’altra se la ridono un po’ sotto i baffi.
La preoccupazione è data dal fatto che l’ammiraglio italiano
Giampaolo Di Paola si è visto nei giorni scorsi con il generale capo delle
Israelian defence forces, Gabi Ashkenazi, per concordare “piani di fuga” in
caso di attacchi dei guerriglieri palestinesi all’unità europea di 80
“monitors” ai comandi del generale
italiano Pietro Pistolese. Il che significa che presto l’ennesima iniziativa
europea potrebbe finire e che gli israeliani dovranno controllarsi da soli la
frontiera con l’Egitto da cui entrano nei tunnel armi, droga e “altre utilità”
per i guerriglieri di Hamas.
Il ridere sotto i baffi invece appartiene alla categoria del
“noi ve lo avevamo detto”. Che non fosse uno scherzo vigilare su un valico che
da decenni è quello più usato per fare giungere bombe e munizioni ai terroristi
era infatti cosa ben nota.
Le strade di fuga studiate a tavolino per ora sono tre: la
prima è quella di correre attraverso la frontiera egiziana ma è stata subito
scartata perché i soldati israeliani non potrebbero garantire l’incolumità
degli 80 intrepidi osservatori una volta in terreno egiziano dove invece
potrebbero essere diventare prede da tiro a segno dei colpi di fucile dei
cecchini. Altra ipotesi prevede una fuga precipitosa attraverso il valico di
Erez, ma implica l’attraversamento di quasi tutta la striscia di Gaza, cosa che
esporrebbe a rischi persino maggiori i nostri eroi.
Resta l’unica
soluzione possibile, subito accettata dai comandanti italiani: creare una
piccola porta alla barriera antiterrorismo di Gaza per fare in modo che da lì,
in caso di attacchi dei terroristi palestinesi, si possa immediatamente
riparare in territorio israeliano. Naturalmente, come nel caso dell’Unifil e degli
indisarmabili Hezbollah, queste notizie
a consuntivo su come finiscano le iniziative di pace europee le si possono
leggere solo sui giornali israeliani. E segnatamente sul Jerusalem Post,
che in data odierna ha dato conto delle pressanti richieste di
aiuto e di assistenza avanzate dagli europei ai soldati israeliani. Che vengono
osservati in cagnesco quando sono loro a dovere prendere iniziative repressive
contro il terrorismo palestinese e immediatamente denunciati all’opinione
pubblica internazionale.
Ma che vengono supplicati come salvatori quando gli europei
devono constatare sulla loro pelle di cosa sono capaci gli uomini di Hamas e di
Fatah. Per la cronaca infatti solo pochi giorni fa si sono avuti i primi
funesti presagi di cosa si stia tramando ai danni degli osservatori europei.
Una bomba ad altissimo potenziale è stata intercettata dagli israeliani e le
intelligence congiunte si sono trovate d’accordo nel dire che era destinata ai
“monitors Ue”. Poi ci sono stati altri episodi con scaramucce e sparatorie
subito sedate dal pronto intervento israeliano. Insomma una situazione
imbarazzante dal punto di vista politico e molto pericolosa da quello militare.