“Gli scontri tra i palestinesi sono colpa della Cia e Israele”

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“Gli scontri tra i palestinesi sono colpa della Cia e Israele”

13 Giugno 2007

Intervista ad Alì Raschid

“E’ desolante, triste e drammatica la violenza che si è scatenata all’interno del popolo palestinese”, confessa all’Occidentale il deputato di Rifondazione Comunista Khalil detto Alì Raschid, passato da diplomatico e primo segretario della  Delegazione generale palestinese in Italia, “soprattutto tenendo conto del fatto che i palestinesi vivono ancora sotto occupazione e sono sottoposti quotidianamente alle incursioni dell’esercito israeliano, in una fase in cui – spiega Khalil – si sono perse anche le tracce di una possibile soluzione politica per la causa palestinese”.

 

 

Ma come si è giunti agli scontri tuttora in corso tra Hamas e Fatah?
Per comprendere a pieno l’origine della conflittualità che oggi dilania il popolo palestinese bisogna risalire all’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967. Da quel momento in poi, il cumulo di problemi irrisolti e sbagli commessi ha portato alla situazione attuale. L’occupazione pura da parte israeliana, la distruzione sistematica della società palestinese, l’allontanarsi sempre di più di una soluzione politica per la causa palestinese, l’aggravamento della situazione economica: tutto questo è la causa di quanto si verifica oggi.

E’ d’accordo con l’invio di una missione internazionale nella Striscia di Gaza?
Sono d’accordo nella misura in cui la missione internazionale favorisca il raggiungimento di una soluzione politica della questione palestinese. Quello della comunità internazionale deve essere un intervento positivo volto ad accompagnare il processo politico che però ancora non c’è.

 

 

Proprio ieri, il premier israeliano Olmert ha invocato l’invio di una missione internazionale che sigilli il confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto in modo da bloccare il flusso di armi e rifornimenti che passa attraverso la frontiera.
Olmert ha chiesto la missione internazionale non perché interessato a trovare una soluzione politica, ma per dare man forte agli avversari di Hamas perché di Hamas ha paura. Serve invece una missione che imponga il diritto internazionale, favorisca il processo di pace, elimini la causa della destabilizzazione che è l’occupazione e impedisca le incursioni dell’esercito israeliano.

 

 

Ma non sono i dissidi interni alla comunità palestinese a costituire oggi il maggior ostacolo alla ripresa del processo di pace e quindi alla nascita di uno stato palestinese?
No, perché i dissidi interni sono un problema recente mentre il problema vero perdura da 40 anni. Tutto quello che vediamo oggi è il risultato dell’occupazione israeliana. E’ vero che ci sono state anche politiche irresponsabili da parte palestinese, ma il vero problema è l’occupazione israeliana.

 

 

Qual è il motivo del contendere tra Hamas e Fatah?
Hamas e Fatah hanno una diversa strategia politica. Hamas vede nella Resistenza il mezzo per arrivare all’indipendenza e alla costituzione dello stato palestinese che è un diritto legittimo dei palestinesi. Fatah e il presidente Abu Mazen credono soprattutto nell’intervento della comunità internazionale per obbligare Israele a porre fine all’occupazione, ma abbiamo visto tutti che malgrado 15 anni di trattative il processo di pace ha perso, mentre i problemi crescono, le condizioni dei palestinesi peggiorano, la colonizzazione dei territori palestinesi aumenta e la prospettiva di una soluzione politica si allontana sempre di più. Riattivare il processo di pace significa che Israele deve porre fine all’occupazione.

 

 

Nelle considerazioni che fa Israele, giuste o sbagliate che siano, la sicurezza dei suoi confini occupa un posto centrale. Dopo il ritiro israeliano la Striscia di Gaza si è trasformata in un campo di battaglia tra i palestinesi e la stessa sorte toccherebbe alla Cisgiordania se, allo stato attuale delle cose, Israele decidesse di smobilitare anche dalla West Bank. Senza dimenticare che Israele nel sud del Libano ha lasciato il posto a Hezbollah e non all’esercito libanese. Cosa si può fare allora per rassicurare Israele sulla sua sicurezza, così da indurlo a porre termine all’occupazione?

La sicurezza è un’esigenza di tutti i popoli del Medio Oriente e non solo d’Israele. Israele mette la scusa della sicurezza per nascondere i suoi obiettivi espansionistici e per legittimare la politica aggressiva verso i palestinesi. Israele ha il più potente esercito della regione e una superiorità tecnologica e scientifica che tutto il mondo arabo messo insieme non può contrastare. Di cosa può avere paura? Quello della sicurezza è un falso problema.

 

 

Qual è allora il vero problema?
Il vero problema è che si sta decimando il popolo palestinese. Cos’è rimasto di questo popolo, della sua storia, della sua cultura, della sua tradizione? E’stato trasformato in un due pezzi, un pezzo è nei campi profughi da 60 anni e l’altro è sotto un’occupazione che non vede fine. La vera questione della sicurezza è quella del popolo palestinese che viene sistematicamente distrutto, c’è un popolo che sta morendo. Non si può mettere sullo stesso piano Israele e il popolo palestinese.

 

 

Se Israele dovesse ritirarsi dai territori occupati, chi andrebbe al governo dello stato palestinese?
Il punto è che Israele non ha favorito il processo di pace. Israele ha aiutato Hamas fin dalla sua nascita e ha fatto di tutto, in modo scientifico, per indebolire le forze laiche, progressiste e moderate in Palestina. Israele è sempre stata chiusa a una soluzione politica alla questione palestinese.

 

 

Quindi Israele ha deliberamene favorito la vittoria di Hamas alle elezioni politiche del gennaio 2006?
Certamente sì e lo ha fatto mettendo in ridicolo tutto il gruppo dirigente palestinese che aveva firmato gli accordi di pace. Così questo ha perso la sua autorevolezza a vantaggio delle forze più radicali. Quando nel 1993 fu firmato l’accordo di pace, Hamas non aveva nemmeno il 15% ed è grazie alla politica israeliana che ha finito per ottenere una vittoria schiacciante alle elezioni.

 

 

Se Hamas dovesse sbaragliare le forze di Fatah e divenire così l’unico detentore del potere nella Striscia, la comunità internazionale come dovrebbe comportarsi?
Il popolo palestinese deve risolvere da solo le sue questioni interne. La comunità internazionale deve spingere Israele a porre fine alla sua repressione, a porre fine all’occupazione e ad avviare il processo di pace. Solo così in Palestina torneranno a essere maggioritarie le forze laiche, progressiste e moderate.

 

 

Insomma, se Israele si ritira dai territori occupati, le forze laiche, progressiste e moderate torneranno maggioritarie e avranno la meglio su Hamas.
Sì, Hamas ha già perso parecchi consensi in seguito agli scontri. Il problema delle forze progressiste è che non trovano una sponda nelle politiche né d’Israele né della comunità internazionale, che non riesce a porre fine all’occupazione della terra palestinese.

 

 

Nelle vicende legate alla questione palestinese come s’inseriscono gli Stati Uniti?
L’accordo della Mecca che ha dato vita al  governo di unità nazionale è stato accompagnato da un rilancio dell’iniziativa di pace da parte di tutto il mondo arabo, che si è dichiarato disposto a riconoscere Israele in cambio del ritiro dai territori occupati a beneficio della sicurezza collettiva nella regione. Ma gli Stati Uniti non hanno appoggiato questa iniziativa, non hanno colto questa occasione perché il loro obiettivo è quello della guerra permanente. Gli Stati Uniti si sono indeboliti perché gli è venuta a mancare la forza derivante dal consenso interno e dalla partecipazione degli alleati alla coalition of the willing, e ora cercano di supplire alla loro debolezza con la guerra permanente, favorendo cioè lo scoppio di guerre civili ovunque in Medio Oriente. Questo è avvenuto in Iraq e in Libano e ora anche in Palestina, domani non sappiamo ancora dove.

 

 

Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno utilizzato i servizi segreti per fomentare lo scontro tra Hamas e Fatah.
Assolutamente sì, perché le forze dell’ordine dell’Anp sono legate alla Cia e a Israele. Solo pochi giorni fa un portavoce americano ha detto chiaramente che bisogna sostenere le forze dell’ordine alla dipendenza di Abu Mazen con soldi e armi.

 

 

Gli scontri non rappresentano la morte politica di Abu Mazen?
Mi auguro di no. Certo c’è stato un forte indebolimento del presidente. La sua politica è stata inefficace perché ha scommesso sul processo politico che invece è fallito a causa delle politiche aggressive israeliane e per l’indisponibilità degli Stati Uniti a cambiare la loro strategia. Gli americani sono determinati a fare altre guerre. Solo due giorni fa, aerei israeliani e americani hanno simulato congiuntamente un attacco a obiettivi sensibili iraniani.

 

 

E’ possibile che lo scontro tra Hamas e Fatah sia alimentato da forze esterne e che per questo vada interpretato nel quadro della resa dei conti tra Iran e Arabia Saudita per la supremazia nel mondo islamico?
Non c’è nessun conflitto all’interno dell’Islam. Questi scontri sono manovrati dalla politica degli Stati Uniti nell’ambito della guerra permanente che non trova più sostegno nella società americana e tra gli alleati. Gli americani per far diventare la guerra davvero permanente hanno provocato lo scoppio di una guerra civile all’interno di ogni paese.

 

Quindi l’Iran e l’Arabia Saudita non sono in alcun modo riconducibili alla guerra civile tra Hamas e Fatah?
Come no! Sono riconducibili perché l’Iran e l’Arabia Saudita saranno il prossimo campo di battaglia della guerra permanente lanciata dagli Stati Uniti.

 

 

 

Ma c’è la possibilità che l’Iran spinga Hamas a prendere da sola il potere nell’Anp?
Sicuramente c’è, ma sono stati gli Stati Uniti ad aver coinvolto gli alti paesi della regione in questo processo.

 

 

Anche quello che sta accadendo nei campi profughi palestinesi in Libano è causato dagli Stati Uniti?
La chiave di lettura è unitaria. Tutte le indagini dicono che le forze estremiste sunnite dei campi profughi sono state organizzate dagli Stati Uniti e da Israele per fare da contrappeso ad Hezbollah con l’accordo del governo libanese. Il risultato è la spaccatura del Libano. Lo stesso schema è utilizzato in Iraq, dove Al Qaeda serve a riequilibrare la forza degli sciiti, e adesso anche in Palestina, dove Hamas serve a compensare Fatah e viceversa.

 

 

Quali sono i veri obiettivi degli Stati Uniti? A cosa serve la guerra permanente?
Gli Stati Uniti non sono interessati alla pace nel mondo e tanto meno alla pace in Medio Oriente. La guerra permanente serve a conservare l’egemonia globale in modo che gli Stati Uniti possano continuare a sfruttare le risorse energetiche del Medio Oriente.