Gli Stati Uniti devono rafforzare la polizia pakistana per battere i Taliban
03 Giugno 2009
Nelle immagini girate da Al Jazeera in Pakistan vediamo agenti, ufficiali della polizia, ma anche un responsabile della polizia di frontiera, che si lamentano, si disperano e criticano il modo in cui sono costretti a lavorare. L’inviato mostra chiaramente come vivono i poliziotti in Pakistan, nascosti dietro cavalli di frisia, assediati nelle caserme-bunker, sempre sul chi vive perché ci sono punti del territorio in cui è facile cadere sotto un colpo di mortaio talebano.
La polizia pakistana nasce da un ordinamento coloniale, quello inglese, per la precisione il Police Act del 1861, scritto quando il Pakistan neppure esisteva. Il codice ha continuato a funzionare, sotto varie forme e più volte modificato, e la recente riforma del 2002 non ha prodotto risultati determinanti. Quest’anno l’elenco degli attacchi alle forze dell’ordine è impressionante.
Per gli Stati Uniti “è decisivo investire nel training, nell’equipaggiamento, e nell’espansione delle forze di polizia e del sistema giudiziario pakistano per dare al Paese la capacità di marginalizzare ed eliminare estremisti e gruppi terroristi”, dice un documento apparso ieri sul sito del Center for American Progress. Il governo americano ha pensato a un fondo per incrementare le capacità di counterinsurgency pakistane, anche se – riflettono gli obamiani – va aggiunta anche la riforma del sistema giudiziario che appare troppo debole e non trasparente.
Il “Kerry-Lugar Advanced Partnership for Pakistan Act” ha stanziato all’incirca 100 milioni di dollari per aiutare le forze della sicurezza pakistane ma non è detto che basteranno. I fondi dovrebbero finire in gran parte nelle casse della Federal Investigation Agency, del comando dell’intelligence e in quelle delle forze di polizia provinciale. In questo modo, dicono sempre gli obamiani, gli Stati Uniti potranno risparmiarsi di dover detenere e giudicare il nemico a Guantanamo, giudicato uno stravolgimento delle leggi internazionali.
Un discorso che potrebbe apparire condivisibile. Se non fosse che ieri una corte pakistana ha ordinato di rilasciare il fondatore di Lashkar-e-Taiba. Non c’erano prove sufficienti a condannarlo per l’attacco a Mumbai (166 morti). Il governo indiano ha giustamente protestato.