Gli Stati Uniti si arrendono alla Russia in Asia centrale?

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Gli Stati Uniti si arrendono alla Russia in Asia centrale?

Gli Stati Uniti si arrendono alla Russia in Asia centrale?

18 Giugno 2010

Cosa fai quando scoppia un violento conflitto etnico su vasta scala in un paese dove possiedi una base militare chiave, ma il cui governo locale non può far nulla per fermare le violenze? Quando quel paese si trova in una regione in cui hai speso ore e ore in sforzi diplomatici e centinaia di milioni di euro in un periodo di oltre 18 anni, rivendicando un posto di massima influenza al tavolo delle trattative? Quando vengono ad intrecciarsi questioni come il petrolio, i Talebani, ed il traffico nucleare e di stupefacenti? Ma tutto questo accade mentre i tuoi militari sono vicini al punto di rottura altrove, e, per dirla tutta, hai altri pesci in padella?  

Chiami i Russi.

Quella chiamata – come riportato in questo blog, l’amministrazione Obama ha rifiutato una richiesta informale da parte del Kyrgyzstan per un aiuto militare, e si sta prestando per coordinare una risposta internazionale che, se avrà luogo, verrà condotta da Mosca – rappresenta l’ultimo esempio di una radicale inversione nella politica degli Stati Uniti. Dal 1991 la politica statunitense in Asia Centrale e nel Caucaso si è concentrata nell’aiutare le otto nazioni della zona meridionale dell’ex Unione Sovietica ad ottenere l’indipendenza politica dalla Russia.

I critici hanno già accusato Washington di tradire la Georgia a causa del dietrofront sul sostegno che era stato assicurato dall’amministrazione Bush ad un eventuale ingresso del paese nella NATO (qui potrete leggere una vecchia pagina di Facebook dedicata all’argomento). In generale, tali critici, compresi i miei colleghi di Foreign Policy, ricorrono ad un vecchio luogo comune per l’ultima amministrazione di Washington: il presidente Obama, dicono, ha un atteggiamento soft sulla Russia. L’apertura ad un effettivo spiegamento militare sul territorio del Kyrgyzstan – la Russia ha una base nel paese, chiamata Kant, che però non effettua operazioni locali – di certo provocherà un nuovo round nello scambio di colpi in atto.

Ma l’amministrazione è davvero troppo morbida con la Russia, oppure sta realisticamente seguendo un nuovo percorso, considerato l’attuale panorama geopolitico e il risultato delle precedenti politiche verso il tosto governo di Vladimir Putin?

La domanda si pone a causa della morte di oltre 100 persone durante una rivolta etnica nel sud del Kirgyztan, iniziata lo scorso venerdì. Fomentate da tensioni di lunga data tra gli abitanti kirghizi e uzbeki, alcune bande kirghize hanno attaccato e dato fuoco alle case e agli uffici degli uzbeki. Il presidente del paese, Roza Otunbayeva, ha dichiarato che le forze governative non sono in grado di controllare le violenze, e ha richiesto un aiuto militare, prima agli Stati Uniti e poi alla Russia. I russi hanno tenuto un meeting di un gruppo regionale controllato da Mosca e chiamato Collective Security Treaty Organization, al quale la Russia ha richiesto un’autorizzazione prima di dare il proprio consenso all’invio di truppe.

Non si può dubitare del fatto che schierare una forza russa in Kyrgyzstan sia rischioso. Come notato da Joshua Kucera, la Russia è famosa per il suo modo di entrare nei paesi e poi non uscirne più. Come ho potuto vedere io stesso, quando sono scoppiati simili conflitti etnici in Tajikistan nel 1992, la  201° Divisione Motorizzata locale russa prese le parti di un clan del sud annesso alla città di Kulyab, ed estromise il governo democraticamente eletto di Dushanbe; la 201° era stata schierata in Tajikistan sin dall’era sovietica, e aveva mantenuto un grande influenza sul paese. Nel 2008, la Russia tecnicamente si è ritirata dalla Georgia dopo lo scoppio della guerra tra i due paesi, ma Mosca ha sostenuto le dichiarazioni di indipendenza delle due regioni secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, e sta consolidando una notevole presenza navale nel porto di Ochamchira sul Mar Nero, in Abkhazia. Esistono anche altri esempi. 

Ancora la regione stessa ha reagito in modo penoso ad una situazione che poteva facilmente sfuggire di mano. Ad esempio, è capitato che la Shanghai Cooperation Organization tenesse il suo summit annuale proprio sul confine del Tashkent. Per anni, questo gruppo ha attirato molte pressioni alquanto nervose da parte di coloro che si preoccupavano dell’influenza della Cina. Ancora, i membri della SCO si sono trovati di fronte ad una delle maggiori opportunità avute nel corso degli anni anni per dimostrare una ragione della propria esistenza. Il gruppo è andato a casa dopo aver suggerito sostanzialmente di sottoporre gli uzbeki e i kirghizi ad una terapia di gruppo: “Dialogo e confronto attraverso mezzi politici e diplomatici”.

La Russia ha la colpa di aver provocato danni quasi in ogni paese dell’ex Unione Sovietica. E la vecchia politica statunitense seguiva la giusta linea nell’aiutare quei paesi a ritagliarsi una qualche misura di reale indipendenza. Ma la domanda è se quella politica includa o debba includere lo spiegamento di truppe nel caso in cui le questioni sfuggano di mano, come è probabile che succeda in questa parte del mondo. Ad esempio, gli Stati Uniti avrebbero forse dovuto inviare delle truppe in Georgia nel 2008?

Nella situazione attuale, l’amministrazione Obama avrebbe potuto inviare le pallottole di gomma richieste dai kirghizi senza ripercussioni. Ma, come con la Georgia, avrebbe dovuto inviare dei soldati?

Radio Free Europe/Radio Liberty, in un articolo molto sensato di Brian Whitmore, riporta come i georgiani dichiarino di non sentirsi traditi da Washington. Withmore conclude: “Il reset di Obama con Mosca è molto meno allarmante di quanto suggeriscano gli esperti allarmisti.”

Dopo 11 anni trascorsi in questa regione, ho compreso che si tratta di un luogo difficile. Ancora mi domando: per quale ragione Mosca si è preoccupata di consultare Washington sulla questione dal momento che il Kyrgystan è chiaramente in possesso della Russia? Il motivo è che quello che la regione è diventata dopo il crollo dell’Unione Sovietica equivale a ciò che è sempre stata storicamente: un’area contesa, e divisa, tra numerosi poteri forti.

© Foreign Policy
Traduzione Benedetta Mangano