Gli Stati Uniti vogliono Blair in Palestina
22 Giugno 2007
Risolvere la questione mediorientale. Potrebbe essere la prossima, affascinante e impegnativa avventura politica di Tony Blair, che il 27 giugno lascerà Downing Street e la carica di Primo ministro britannico dopo 10 anni.
L’idea è nata a Washington: fare di Blair il nuovo inviato in Medioriente del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu). Un candidato di prestigio, per rilanciare il ruolo dei Grandi nella questione palestinese. Forse il presidente George W. Bush aveva già valutato l’ipotesi di offrire la carica all’amico Tony, destinato a una lunga pensione; di sicuro, l’inasprimento delle tensioni nella Striscia di Gaza lo ha convinto a esercitare, negli ultimi giorni, un forte pressing sull’ormai ex Primo ministro britannico, per convincerlo ad accettare questa nuova sfida non appena avrà lasciato Downing Street. Sembra che il vicesegretario di Stato per il Vicino oriente, David Welch, si sia recato a Londra mercoledì. Per sancire il nuovo incarico di Blair. E rinnovare la sua intesa con Bush.
Parlando con un giornalista della Bbc, fonti governative statunitensi rimaste anonime avrebbero assicurato che ci sarebbe già il beneplacito di israeliani e palestinesi. Da Gerusalemme, la portavoce del governo, Miri Eisin, ha fatto arrivare l’assenso di Ehud Olmert. Il problema, semmai, sarà quello di capire quanto possa essere “forte” la candidatura di Blair tra i Paesi arabi, abituati negli ultimi anni all’appiattimento della posizione britannica su quella statunitense. Iraq, Afghanistan e Libano non hanno certamente giovato alla popolarità del primo ministro britannico, peraltro scalfita anche in patria. Altro ostacolo, si sussurra in Europa, potrebbe rivelarsi l’opposizione della Russia, visti i rapporti tesi tra Londra e Mosca dopo il caso Litvinenko.
E’ probabile che Blair aspetterà di lasciare il suo incarico per dare una risposta definitiva. L’immagine di “uomo della pace mediorientale”, dopo le critiche subite per gli interventi militari a fianco degli Stati Uniti, potrebbe convincerlo ad accettare la sfida. A rischio fallimento: il Quartetto è orfano dall’aprile dello scorso anno, quando l’ex presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, rinunciò all’incarico di inviato speciale “per frustrazione”. Wolfenshohn aveva cercato di far crescere l’economia a Gaza, dopo il ritiro israeliano del 2005. Ma si accorse che il boicottaggio internazionale nei confronti dei palestinesi, in seguito alla vittoria elettorale di Hamas nel gennaio successivo, rendeva impossibile il suo lavoro. Blair farà bene a valutare con attenzione la proposta, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti: il panorama politico palestinese è ancor più complicato di 14 mesi fa. Cosa andrebbe a fare e con quali obiettivi, poi, resta tutto da capire.
A 54 anni e 52 giorni, Blair diventerà “un pensionato d’oro”. E l’idea sembra già annoiarlo. Ma varrà la pena rinunciarci?