Gli studenti mettono Londra a ferro e fuoco ma il governo approva la riforma
10 Dicembre 2010
“Shame on you”, vergogna. Così circa 20mila studenti inglesi che avevano assediato fin dalla mattina il palazzo di Westminster hanno accolto la notizia dell’approvazione, da parte della Camera dei Comuni, del controverso piano per l’aumento fino al triplo delle rette universitarie. Nel giro di poche ore, il cuore di Londra si è trasformato in un campo di battaglia, proprio come è accaduto qualche giorno fa a Roma durante le proteste per la riforma Gelmini.
Due città diverse, ma con la stessa immagine di caos e di violenza. I tafferugli nella City sono scoppiati quando una parte dei manifestanti ha abbattuto le barriere di metallo attorno a Parliament Square e si è diretto verso il parlamento, lanciando fumogeni e vernice. Alcuni studenti si sono addirittura arrampicati sulla statua di Winston Churchill per coprirla di graffiti e altri ancora hanno lanciato vetri e oggetti vari contro le forze dell’ordine. Immediata la reazione della polizia londinese che ha caricato contro i violenti e ha persino utilizzato le “gabbie” di contenimento, necessarie per “fronteggiare una situazione con un livello di violenza così alto”, come ha spiegato un portavoce della polizia. Tre i poliziotti feriti negli scontri di ieri e altri tre i manifestanti che sono finiti in manette. In tarda serata, i manifestanti hanno fatto irruzione al ministero del Tesoro e un gruppo di studenti ha attaccato l’auto con a bordo il principe Carlo e la moglie Camilla. Pochi giorni prima erano stati quasi 160 gli arresti durante una manifestazione a Trafalgar Square che si è conclusa nella devastazione della sede dei Tories.
Il provvedimento deciso dal governo di Londra non ha trovato l’opposizione solo nelle piazze. La legge è passata infatti con una maggioranza molto contenuta rispetto al vantaggio di circa 80 voti della coalizione tra Tory e Lib-Dem. L’aumento delle tasse universitarie è stato il primo vero banco di prova per l’alleanza Cameron-Clegg: il programma elettorale liberal-democratico si opponeva all’incremento, ma una volta salito al governo Nick Clegg ha annunciato il suo sostegno perché necessario per il finanziamento dell’Università di fronte ad una crisi economica che sta colpendo fortemente la City. Il suo ripensamento è stato considerato da molti elettori come un tradimento: il Daily Mirror, pochi giorni fa, l’ha definito “il patetico Pinocchio della politica”. In questo test, il leader liberaldemocratico è riuscito ad incassare solo il voto favorevole di 20 dei suoi 57 deputati. Per di più, il voto è stato preceduto da una serie di dimissioni di parlamentari da posizioni di governo per poter votare contro la maggioranza. David Cameron, invece, con questa approvazione ha visto rafforzato il suo ruolo di leader conservatore, visto che dei 306 deputati del gruppo, appena 4 hanno disobbedito la linea del partito.
Nell’approvazione del ddl Gelmini il contesto politico italiano, invece, è stato molto diverso. Dopo mesi di strappi, la maggioranza si è trovata finalmente compatta nell’approvazione della legge sulla riforma dell’università (302 i sì, 252 i no): insieme al Pdl, a votare a favore della legge Gelmini sono stati anche i finiani che, fino a quel momento, avevano dato prova di essere più propensi ad opporsi che a sostenere le iniziative del governo. Le dichiarazioni del presidente della Camera sul fatto che “la riforma dell’università è una delle cose migliori fatte in questa legislatura”, infatti, hanno sorpreso non pochi.
Ma ciò che distingue in modo sostanziale le contestazioni inglesi e quelle italiane sono le motivazioni che hanno portato a tanta aggressività nelle piazze. Al centro delle proteste londinesi c’è l’aumento fino a tre volte delle tasse universitarie da settembre 2012: in realtà, però, si tratta dell’eliminazione del “tetto” massimo delle rate universitarie (che da 3.290 sterline, pari a circa 4mila euro, passa a 9mila annue, cioè più di 10mila euro). Qualora superino le 6mila sterline, la nuova legge impone ai singoli atenei l’obbligo di dimostrare di avere sufficienti risorse da coprire le borse di studio essenziali per gli studenti meno abbienti. Con i tagli molti atenei potrebbero essere a rischio, ma per i difensori della nuova legge è un’opportunità per rendere le università più efficienti e attraenti di prima. Inoltre, il nuovo sistema prevede che i “maintenance grants” aumentino da £2,906 a £3,250 per studenti con un reddito familiare inferiore a £25,000 e estende le borse di studio parziali per coloro che provengono da famiglie con un reddito pari a £42,000, riducendo la soglia precedente di £50,020 (pari a quasi 60mila euro!).
D’altro canto, dato che il sistema universitario si finanzia sostanzialmente grazie ai crediti bancari, il provvedimento prevede che non si potrà pretendere la restituzione del prestito prima del raggiungimento di uno stipendio pari a 21mila sterline l’anno, ossia 25mila euro, (mentre prima la soglia era a 15mila sterline) e che gli studenti part-time avranno maggiori possibilità di accedere ad un credito. I sostenitori della riforma, però, assicurano che al 60% dei laureati non toccherà pagare completamente il valore dei loro prestiti e che, in un regime in cui vige maggiore competitività tra atenei, le università non faranno necessariamente pagare il massimo. Fino a ieri, infatti, nonostante il tetto di 3mila sterline l’anno, la media delle rate negli atenei scozzesi, per esempio, era poco più della metà. Secondo il ministro dell’Industria, Vince Cable, si tratta di un compromesso che “mantiene la qualità universitaria nel lungo termine, affronta il deficit e propone contributi basati su quanto la gente può davvero pagare”.
In Italia, la riforma si è incentrata tutta su ben altre questioni. Eccone alcune: la lotta agli sprechi e alla “parentopoli” (vietando i concorsi a chi ha parenti fino al quarto grado e sottoscrivendo un codice etico); lo stop alle cariche dei “rettori a vita”; la maggiore autonomia delle università coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica (gli atenei gestiti male riceveranno meno finanziamenti); la riorganizzazione interna ed esterna (si potrà procedere a unire o federare più università per ridurre i costi); la meritocrazia, la trasparenza e l’investimento sulla qualità, mettendo fine alla politica dei finanziamenti a pioggia (d’ora in poi, i docenti non solo avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a lezione ma il loro scatto stipendiale dipenderà dalla valutazione). E tanto altro.
Osservando la veemenza con cui è stata affrontata nel nostro Paese la riforma dell’università – senza considerare l’inciviltà di quel gruppetto di studenti che ha lasciato in dono, di fronte all’abitazione bergamasca del ministro dell’Istruzione, una montagna di letame – esce spontanea una domanda: visto che il nostro governo non ha approvato un piano di austerità così rigoroso come quello britannico (che prevede un taglio di 96 miliardi di sterline in 4 anni che eliminerà centinaia di migliaia di posti di lavoro e lascerà molti programmi di governo senza fondi ), cosa sarebbe successo se si fosse avanzata l’ipotesi di un aumento delle tasse universitarie al triplo, specialmente in un sistema dove le borse di studio sono una rarità, un primo stipendio a 25mila euro l’anno un sogno e l’accesso ai crediti bancari un’utopia? Messa così, i nostri studenti forse dovrebbero pensarci due volte la prossima volta che vogliono scendere in piazza. Se potessero, ne siamo sicuri, i loro “cugini” inglesi griderebbero “vergogna” anche contro i giovani italiani.