Gli Usa hanno già capito come difendersi dal Jihad giudiziario

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Gli Usa hanno già capito come difendersi dal Jihad giudiziario

21 Maggio 2009

Brooke Goldstein, Aaron Eitan Meyer. Due nomi certamente sconosciuti alla maggior parte dei lettori italiani. Ma ben noti a chi come me ha purtroppo a che fare con il jihad in tribunale. Due nomi che sono sinonimo di speranza. Gli avvocati Goldstein e Meyer sono le anime del Legal Project at Middle East Forum, con sede a Washington, ovvero di quella istituzione americana che dal 2007 assiste tutti coloro che, a seguito di loro scritti o di loro affermazioni verbali, vengono denunciate  e condotte in tribunale dagli estremisti islamici, meglio noti come i “taglia lingua”. L’avvocato Brooke Goldstein è la direttrice del Legal Project mentre Aaron Eitan Meyer è il suo prezioso e instancabile assistente.

Il Legal Project nasce da un’idea dell’analista americano Daniel Pipes, egli stesso vittima della guerra santa per via legale, come reazione al preoccupante avanzare di questa tattica che mira a mettere a tacere ogni voce critica nei confronti dell’estremismo islamico. Da quel momento il Legal Project svolge un’azione a dir poco impagabile e preziosa, e soprattutto coraggiosa.

Di recente ho avuto modo di constatare in prima persona la disponibilità, l’efficienza e la professionalità del Legal Project. A seguito della denuncia sporta nei miei confronti dallo Studio Legale Bauccio per conto del tunisino Rached al-Ghannouchi, leader del movimento al-Nahda ideologicamente legato ai Fratelli musulmani, e di altre azioni legali avviate da esponenti dell’estremismo islamico nei confronti di altre persone di mia conoscenza, tra cui il direttore de L’Occidentale Giancarlo Loquenzi, il 26 marzo scorso ho contattato Daniel Pipes per esprimergli tutta la preoccupazione per l’incedere di questa forma sottile, silenziosa, ma al tempo stesso molto pericolosa di jihad. Gli ho quindi esposto quanto stava accadendo in Italia.

Ebbene nel giro di 24 ore ho ricevuto da Aaron Eitan Meyer, il vice-direttore del Legal Project,  la seguente e-mail: “Gentile signora Colombo, le scrivo in nome del Legal Project poiché siamo molto preoccupati per la causa intentata nei suoi confronti e vorremmo aiutarla in ogni modo possibile. Per quanto concerne le affermazioni di al-Ghannouchi, ha forse bisogno di assistenza per il suo caso specifico, ad esempio ha bisogno di individuare un avvocato oppure necessita di un aiuto economico per affrontare le spese legali? Possiamo fare delle ricerche e inviarle del materiale utile. […] Non esiti a contattarci per qualsiasi necessità, faremo di tutto affinché né lei né l’Italia finiscano nella morsa dell’islam radicale.”

A questo messaggio ha fatto seguito, nei giorni successivi, una lunga telefonata di Brooke Goldstein, nel corso della quale mi ha espresso solidarietà e tutta la sua preoccupazione, ma soprattutto mi ha promesso il sostegno più totale da parte dell’istituzione da lei diretta. Da quel momento non è passato giorno senza che io ricevessi materiale utile sia alla mia causa sia all’approfondimento della tematica della guerra santa legale in Occidente sulla quale mi accingo a scrivere un libro.

Proprio ieri, 19 maggio, il Legal Project ha organizzato a Washington una conferenza dal titolo Libel Lawfare: Silencing Criticism of Radical Islam. Nell’invito che mi hanno cortesemente fatto pervenire viene ribadita la “mission” del Legal Project: “Gli estremisti islamici si stanno attivando su due fronti al fine di sopprimere la libertà di espressione su argomenti quali l’islam, l’islam radicale, il terrorismo e il finanziamento del terrorismo: il primo è quello della denuncia, il secondo è quello di fare varare leggi sull’istigazione all’odio e leggi anti-diffamazione. Vittime di queste procedure legali sono analisti, politici, giornalisti, famosi e non, e persino semplici cittadini. Tutto questo ha gravi conseguenze, perché quando viene limitata la discussione sull’islam e sul terrorismo, l’islam radicale si rafforza e la civiltà occidentale viene messa a repentaglio”.

Come era prevedibile, alla vigilia dell’evento di Washington non è mancata una minaccia da parte del CAIR (Council for American Islamic Relations), che corrisponde a grandi linee all’Ucoii in Italia, che ha accusato gli organizzatori di “istigare all’odio contro l’islam”. In un comunicato apparso sul sito dell’organizzazione islamica si denuncia il fatto che la conferenza parta da una “falsa premessa” ovvero che “i musulmani americani sono impegnati in uno sforzo concertato mirante a sopprimere la libertà di espressione sfruttando a proprio vantaggio il sistema legale americano”.

Innanzitutto vale la pena ricordare due dati essenziali che riguardano il CAIR: in primo luogo appartiene al novero delle associazioni islamiche che non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa si pongono, senza averne alcun diritto, come rappresentanti ufficiali dell’Islam, nella fattispecie dell’Islam americano; in secondo luogo è una di quelle associazioni, oserei dire la principale associazione, che ha promosso e promuove puntualmente negli Stati Uniti il jihad in tribunale tanto che già nel 2004 aveva denunciato Andrew Whitehead, responsabile del sito Anti-CAIR, accusandolo di diffamazione, per poi ritirare la denuncia due anni dopo.

Non esiste nulla di più infondato dell’affermare che il Legal Project accusa genericamente tutti i musulmani americani di complottare e agire per limitare sempre più la libertà di espressione di chi vive negli Stati Uniti. A riguardo va sottolineato e ricordato che, al pari di quanto accade in Italia e in Europa, anche in America vittime del jihad in tribunale sono anche intellettuali, giornalisti e cittadini di fede musulmana che vengono difesi dal Legal Project al pari degli altri.

Quindi la battaglia di Brooke Goldstein e Aaron Meyer è una battaglia a favore di tutti, americani e non, musulmani e non, in nome della libertà di espressione che l’islam estremista e radicale vuole toglierci. E’ per questo motivo che ancora una volta ribadisco la necessità di esportare il Legal Project anche in Europa. Avvocati disponibili a combattere con noi esistono, persone come me pronte a fornire informazione corretta su una tematica tanto delicata quanto complessa esistono. L’importante è non perdere tempo prezioso perché il jihad della parola e in tribunale sta dilagando e va fermato.