Google condannata per i video inseriti dagli utenti
24 Febbraio 2010
La sentenza è di quelle che fanno storia. Il tribunale di Milano ha condannato 3 dirigenti di Google accusati di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito, nel 2006, la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da sindrome di Down insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. Oltre ai tre imputati cui sono stati inflitti 6 mesi di reclusione un quarto dirigente era coinvolto, ma è stato assolto.
Il video con le vessazioni al disabile venne girato da quattro studenti nel maggio 2006 e “caricato” su Google Video l’8 settembre, dove rimase nella sezione “video più divertenti”, fino al 7 novembre, prima di essere rimosso. Nelle scorse udienze i familiari del minore disabile avevano ritirato la querela nei confronti dei dirigenti di Google.
Nello specifico, il giudice ha condannato a 6 mesi di reclusione (con pena comunque sospesa), David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google Italy e ora senior vice presidente, George De Los Reyes, ex membro del cda di Google Italy e ora in pensione, e Peter Fleischer, responsabile delle strategie per la privacy per l’Europa di Google Inc. I tre, condannati per violazione della privacy, sono stati assolti dall’accusa di diffamazione. Prosciolto da ogni accusa invece Arvind Desikan, responsabile del progetto Google video per l’Europa, a cui veniva contestata la sola diffamazione.
Immediata la reazione di google, che tramite il portavoce Andrea Pancini, ha reso noto di essere vittima di "un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito internet". Google ha chiarito che farà appello "contro questa decisione che riteniamo a dir poco sorprendente, dal momento che i nostri colleghi non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poichè non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato".
I 3 dirigenti sono stati dunque dichiarati "penalmente responsabili per attività illecite commesse da terzi" ma, secondo la grande G, nel processo "hanno dato prova di coraggio e dignità, poichè il fatto stesso di essere stati sottoposti a giudizio è eccessivo". Google, nel corso di tutto il procedimento penale, ha sempre sostenuto che la responsabilità è di chi carica il video in rete, per cui "se questo principio viene meno, cade la possibilità di offrire servizi su internet".
Da un punto di vista tecnico, quello che si è concluso oggi in primo grado davanti al giudice monocratico della quarta sezione penale, Oscar Magi, è il primo procedimento penale anche a livello internazionale che vede imputati responsabili di Google per la pubblicazione di contenuti sul web. I tre sono stati condannati per il capo di imputazione di violazione della privacy, mentre sono stati assolti per quello relativo alla diffamazione. Potrebbe trattarsi della prima di una serie di sentenze che ripensano il concetto di libertà della rete, finora considerata intoccabile.
Oltre ad emettere la sentenza il giudice ha disposto che la stessa venga pubblicata per estratto su Corriere della Sera, Repubblica e Stampa, probabilmente per renderla di dominio pubblico. Da registrare anche la mancanza di risarcimenti per le due parti civili costituite, ossia il comune di Milano e l’associazione ‘Vividown’, la loro posizione era infatti legata al solo reato di diffamazione.
Diverse voci si sono già levate a commentare la vicenda. “Il diritto d’impresa non può prevalere sulla dignità della persona”, secondo il procuratore aggiunto Alfredo Robledo che con il pm Francesco Cajani ha sostenuto l’accusa, “finalmente si è detta una parola chiara. Al centro di questo procedimento era la tutela della persona attraverso, appunto, la tutela della privacy. Il resto è un fatto fenomenico”. Un primo commento della politica arriva dal presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, che parla di “una sentenza esemplare”.
La giornata nera di Google però non si ferma qui. L’antitrust europeo ha aperto un’indagine per capire se il leader della ricerca su web utilizzi pratiche anticoncorrenziali per sfavorire i suoi concorrenti. Secondo quanto fa sapere Google sul suo blog aziendale, la Commissione ha avviato un’indagine preliminare dopo aver ricevuto gli esposti dei motori di ricerca di Microsoft (Bing), del francese Ejustice.fr e del sito britannico Foundem. Google, da parte sua, ha annunciato che collaborerà con l’antitrust Ue fornendo tutte le informazioni che richiede, e si dice convinta di operare nel rispetto delle regole europee della concorrenza.
Qualcosa inizia a muoversi sul fronte della regolamentazione della rete. Nel settore del “virtuale”, che da un punto di vista legislativo presenta più di qualche buco, una sentenza come quella odierna rischia di diventare una pietra miliare, purtroppo in negativo. Non potendosi occupare di ogni contenuto veicolato tramite un sito internet si rischia di dover limitare fortemente – da parte dei provider di servizi – la possibilità di espressione del singolo utente, che a questo punto diventa la vera vittima della sentenza.