Gordon Brown prepara il nuovo suddito di Sua Maestà

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Gordon Brown prepara il nuovo suddito di Sua Maestà

16 Giugno 2007

Integrato, qualificato, con
una solida conoscenza della cultura e della lingua inglese. Investe capitali,
fa volontariato, non infrange la legge. E’ l’identikit del futuro cittadino
britannico. O almeno, di colui che potrà diventarlo. Perché nelle intenzioni di
due Ministri di Sua Maestà, Ruth Kelly e Liam Byrne, serviranno queste
peculiarità per guadagnare “punti” e ottenere la cittadinanza.

Un privilegio da conquistare,
non un diritto da concedere. Da questo assunto muove la rivoluzione del valore
e del concetto stesso di “cittadinanza”. Chi è il cittadino? Chi dobbiamo
chiamare cittadino? Si chiedeva Aristotele. Ogni epoca, ogni società ha cercato
di spiegare in cosa consistesse l’essere cittadino e quali individui potessero
essere considerati tali. Nel ventunesimo secolo, con la crescente diffidenza
nei confronti degli immigrati, la loro mancata integrazione, gli attentati
terroristici, la risposta da dare si lega alla necessità di creare una comunità
vissuta e riconosciuta da tutti, evitando il proliferare di sottoculture che si
muovono in uno spazio comune, senza però interagire. Per questo, la proposta di
nuovi parametri per la cittadinanza s’inserisce in una politica del Governo
laburista volta a rimettere in primo piano l’orgoglio britannico, i valori
comuni, il senso di appartenenza, dopo aver a lungo indebolito questi concetti in
nome del melting pot e dell’accoglienza,
a volte indiscriminata. Rispolverare, insomma, la britishness, che anche economicamente – come brand – ha perso il fascino degli anni ’60 e ’70, introducendo un
“Britain Day”. Che non vuol dire sventolare la bandiera o cantare l’inno,
secondo il ministro Kelly, ma promuovere le relazioni interpersonali nelle
comunità locali, sviluppare il volontariato, formare e rendere consapevoli dei
propri diritti e doveri i neo-maggiorenni.

La “cittadinanza a punti” non
sarebbe peraltro una novità assoluta, nemmeno in Europa. In Francia esiste “il
contratto d’integrazione”, con cui l’immigrato s’impegna a studiare e
approfondire le sue conoscenze sulla cultura, le istituzioni e la lingua
francese. Un’ipotesi sussurrata anche in Italia, nei mesi scorsi – ma subito
bollata come razzista – che invece riscuote grande successo tra i Labour, tanto
che il futuro premier, Gordon Brown, ne aveva già auspicato l’introduzione un
paio d’anni fa. E che i ministri Kelly e Byrne hanno voluto avvalorare in un
pamphlet pubblicato dalla Fabian Society, il think tank della sinistra laburista. Per questo, è possibile che la
proposta farà parte dei provvedimenti dei primi cento giorni del governo Brown.
L’introduzione di un “sistema a punti”, nel Regno Unito, non rappresenterà
dunque una rivoluzione, ma potrebbe costituire la genesi di un nuovo modo di intendere
la cittadinanza in Occidente, in base alle nuove esigenze di sicurezza – per il
Paese accogliente – e di piena integrazione – per gli immigrati.

Se sono gli Stati Uniti, secondo il leader conservatore David Cameron, il
modello cui ispirarsi per creare un profondo senso dell’identità comune e
ridare voce all’orgoglio britannico, il Labour guarda invece all’Australia. Non
a caso, perché è il Paese che negli ultimi decenni ha saputo meglio conciliare fermezza
e accoglienza, e sviluppare senso di appartenenza e valori comuni, che vengono
celebrati nell’“Australia Day”. Un Paese che si appresta a introdurre un nuovo
“Citizenship Act”, con cui porterà da 2 a 4 gli anni di residenza necessari per
chiedere la cittadinanza (nel Regno Unito ne servono cinque), e che sottoporrà gli
immigrati a un quiz per testare le loro conoscenze su storia, abitudini, sport
e cultura della nuova patria. Sempre secondo il moderno concetto di
cittadinanza “da guadagnare”, non si parlerà più di grant of citizenship, ma di citizenship
by conferral
. Non concessione, ma attribuzione della cittadinanza.

Il dopo Blair partirà con questa doppia sfida: rendere i migrants – davvero – cittadini del Regno e risvegliare la britishness. Sempre che non si tratti,
come sostengono i Tories, dell’ennesimo gimmick.
Niente più di un inganno.