Gotti Tedeschi sulle riforme di Renzi, la famiglia e molto altro

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Gotti Tedeschi sulle riforme di Renzi, la famiglia e molto altro

11 Aprile 2016

Al Museo Correale di Sorrento, incontriamo l’economista e banchiere Ettore Gotti Tedeschi. Con lui parliamo dell’Italia, delle scelte di politica economica del Governo, di tasse e debito, degli anni della crisi. Una lunga conversazione che si allarga a comprendere il senso dei modelli economici e sociali e l’impatto che sta avendo la globalizzazione sulle nostre vite. Con una bussola: la persona umana al centro. Alcune ricette per ripartire: ripensare Maastricht, rilanciare le piccole e medie imprese, puntare sulle famiglie. Uno sguardo alle visioni decliniste propugnate dall’ambientalismo più ideologico. E qualche considerazione di natura personale.

“I conti migliorano, le tasse diminuiscono, la disoccupazione cala, l’economia è tornata a crescere”. Ci stanno cantando questa canzone incessantemente. E ora ha anche smesso di far ridere. Qual è stata la mossa più controproducente del Governo Renzi nelle politiche economiche?

Io non ho visto nessuna manovra di carattere economico che sia stata coerente con i bisogni del nostro Paese. Neanche una. Nessuna riforma di carattere economico utile al Paese.

Lei di recente ha detto che chi promette il taglio delle tasse meriterebbe un pernacchio alla De Filippo ne ‘L’oro di Napoli’. Se fosse al governo, quali provvedimenti metterebbe al primo posto?

Gli unici provvedimenti che in questo momento sarebbero utili al Paese sono di due tipi. Uno interno alla situazione economica italiana, e uno esterno nei confronti dell’Europa. Quello interno per la politica economica italiana si fonda sui due veri e peculiari vantaggi competitivi che ha il nostro Paese, con i quali si potrebbe fare un piano economico. Si tratta della ricapitalizzazione, del rilancio delle medie imprese che trainano l’economia italiana, e dell’utilizzo e conseguentemente della valorizzazione del risparmio delle famiglie italiane. Abbiamo due cose su cui fare una politica economica: le medie imprese, quelle soprattutto orientate alla crescita e che hanno bisogno di capitali per essere ricapitalizzate, in modo da permettergli di attuare un processo di raggiungimento di determinati e ambiziosi obiettivi che hanno nel cassetto; e dall’altra parte abbiamo il risparmio degli italiani, che vale più o meno, ancora adesso, cinque volte il debito pubblico italiano. Dobbiamo salvaguardarlo, permettendo di impiegarlo in modo davvero utile.

Sarebbe a dire?

Come farlo è stato oggetto di tanti studi e riflessioni, da quando ero consigliere economico del Ministro Tremonti fino al 2011. E’ un progetto piuttosto complesso e articolato. Verso l’esterno, l’Italia dovrebbe fare una cosa essenziale. Rinegoziare i criteri di Maastricht con l’Europa. Ovviamente in accordo con altri Paesi che hanno i nostri stessi problemi: in pratica tutti, tranne la Germania. Berlino con grande arroganza impone i suoi criteri al resto dell’Europa, e si sta accentuando sempre di più questa differenza di visione economica che si fonda, sostanzialmente, su una visione culturale, a sua volta basata su una differente visione religiosa. Sto parlando della grande differenza di interpretazione di ciò che dovrebbe essere una politica economica e sociale, tra mondo protestante e mondo cattolico. Rinegoziati i parametri di Maastricht, che oggi non sono più attuabili per nessuno, perché la crisi economica mondiale ha modificato completamente la situazione e le prospettive, si potrà avere la possibilità di creare una serie di investimenti indispensabili per il nostro Paese. Immediatamente dopo bisognerebbe cancellare definitivamente il fiscal compact.

Una volta qualcuno ha detto “E’ moralismo quando si pretende che, purché si soddisfi comunque la pretesa fiscale del governo, si diminuiscano il risparmio e i patrimoni personali e familiari; è moralità quando si pretende che il governo tenga conto della persona. Se c’è una morale che il contribuente deve osservare, vorrei che si riconoscesse che anche sul ‘contribuito’ grava un preciso vincolo etico”. E’ d’accordo?

Indubbiamente. Questa frase andrebbe contestualizzata ma non posso che essere d’accordo. D’altra parte come potrei non esserlo? Il contesto in cui collocarla è quello della sopravvivenza. Noi stiamo sopravvivendo. Non abbiamo piani per il risanamento del Paese da molto tempo. Soprattutto da quando nel 2011 sono stati imposti all’Italia dei governi cosiddetti del “presidente”. Cooptati e non eletti. Ne abbiamo avuti ben tre in pochissimo tempo, e ognuno di questi non ha fatto, e non sta facendo nulla per il risanamento sostenibile dell’Italia. Quindi figuriamoci se, al di là delle dichiarazioni, possano essere governi che si occupano della persona e sappiano metterla al centro. Quando sento parlare, a livello politico, di “persona centrale” e di “valorizzazione della dignità della persona”, mi domando sempre dove vogliano andare a parare. Mi chiedo se sono degli slogan o se sanno di cosa si parli. In realtà non mi sembra che lo sappiano.

Nel ’94, Milton Friedman disse in un’intervista al Corriere della Sera: “Grazie al mercato nero e all’evasione fiscale, l’Italia è molto più libera di quello che credete. Il mercato nero, Napoli, e l’evasione fiscale hanno salvato il vostro Paese, sottraendo ingenti capitali al controllo delle burocrazie statali. Il vostro mercato nero è un modello di efficienza. Il governo un modello di inefficienza. In certe situazioni un evasore è un patriota”. Mentre i puritani scalciano per simili dichiarazioni di un premio Nobel, lei crede che sia possibile sovrapporre il quadro dell’Italia di allora a quello del 2016?

Prima di tutto Milton Friedman incarna quella visione liberista che, ovviamente, non può che essere antistatalista. Friedman parte da un presupposto: meno tasse si pagano, più lo Stato si assottiglia e chiude bottega. In realtà però non è stato molto profetico. Perché è accaduto esattamente il contrario. I costi dello Stato italiano, che sono costi rigidi, soprattutto quelli della burocrazia, impongono un modello di tassazione. Perché il Paese, invecchiando, ha visto aumentare i costi fissi propri dell’invecchiamento (sanità e pensioni), e quindi le tasse, che in un quarantennio sono addirittura raddoppiate rispetto al Pil. Negli anni Settanta erano il 25% del Pil o della ricchezza prodotta, oggi sono il 52-53%. Il sommerso o l’evasione fiscale sono un bene? E’ evidente che io non posso che dire: “non è vero”. Per una ragione molto semplice. Perché se le tasse sono rigide e devono essere pagate da qualcuno, più si evade, più viene tartassato chi già le paga. Non posso dire altro che l’evasione fiscale produce una profonda ingiustizia. Quelle tasse qualcuno le paga e quel qualcuno sono io.

E’ stato anche teorizzato che tutti dovrebbero essere nelle condizioni di evadere le tasse.

Se tutti potessero evadere, sarebbe una illogicità manifesta e diffusa. In ogni caso, considerando chi è Milton Friedman, direi che la sua è stata una grande provocazione. Tutti parlano di evasione fiscale, ma raramente ho visto analisi su chi siano davvero questi evasori fiscali. Sono dell’avviso che se prendessimo un campione di persone e gli domandassimo: “Ma chi è che evade le tasse?” diranno delle cose che non sono vere, perché non lo sanno. Tutti pensano che chi evade le tasse sono i grandi industriali, ma non ritengo che sia così. Credo che in percentuale sul monte evaso, i grandi evasori siano tanti piccoli evasori: il doppio lavoro per esempio. Insomma quella di Friedman è una dichiarazione provocatoria, ma la capisco. Il nodo centrale è che meno tasse si finisce per pagare, e più lo Stato, che non vuole dimagrire, impone maggiori tasse a quei poveri disgraziati che continuano a pagarle.

La promessa del lavoro per tutti fatta dai Padri costituenti ha finito per creare anche una categoria di sussidiati a vita. C’è una generazione che ritiene di avere diritto a tutto, lavoro compreso. Cosa può dirci in proposito?

Molto tempo fa, un importante uomo politico che ha fatto tantissime cose per l’Italia, e che ha ricoperto tantissimi ruoli, mi chiese, essendo buoni amici: “Qual è stato il maggiore errore che ho fatto?”. E io gli risposi “tu sei uno dei simboli dello stato assistenziale”. Lo stato assistenziale, che di fatto, in un certo contesto, in un certo lasso temporale, potrebbe essere visto come qualcosa che è stato necessario al Paese, in realtà è il tipico esempio di come si voglia raggiungere un fine buono con dei criteri cattivi. E’ una deformazione machiavellica di quella che potrebbe essere la “ragion di stato”.

Qual è il buon fine? Creare una forma di distribuzione della ricchezza gestita dallo Stato, che da molti punti di vista aumenta la pressione fiscale nei confronti dei cosiddetti ricchi, per ridistribuirla ai poveri. Ma questa redistribuzione, che è stata attuata innanzitutto grazie a una visione politica, e clientelare, per certi settori economici e determinate aree del Paese, è quella che ha dato forma all’abitudine ad essere assistiti dallo Stato. Si è trattato di un drammatico errore. Perché una generazione intera, e intere aree socio-economiche di questa stessa generazione non sono state stimolate a ricercare un equilibrio personale nella gestione delle proprie esigenze.

Lo Stato, al massimo, deve essere sussidiario a quelli che sono i bisogni di una categoria socio-economica, la famiglia. Lo Stato dovrebbe essere esclusivamente sussidiario. Invece noi ne abbiamo avuto uno che è stato dominante. Creando fra l’altro una spesa pubblica e un deficit che alla fine sono diventati uno dei grandi problemi che ci portiamo dietro. Quindi male dal punto di vista educativo, male dal punto di vista economico e finanziario, e male dal punto di vista sociale.

C’è ancora spazio per far sì che la famiglia torni a essere l’unico capitale da valorizzare?

Sì. Non solo è possibile, direi di più, che è indispensabile. E qui ci accorgiamo che chi dovrebbe difendere innanzitutto la famiglia, chi la dovrebbe promuovere e farne un simbolo di riferimento di valori morali, e conseguentemente anche di valori economici, non lo sta facendo. Questa è la Chiesa: l’autorità morale. Ogni tanto tira fuori l’espressione “famiglia”, tira fuori la conferma che considera la famiglia importante, ma poi, nei fatti, la dimentica sempre. Ha molte più attenzioni per altre cose, piuttosto che per la famiglia.
Senza filosofia, ma nella pratica, nella realtà. Lo abbiamo visto al Family Day, nelle ultime manifestazioni di piazza dove le autorità morali e i responsabili dei grandi movimenti non c’erano. In alcuni casi si sono espressi dopo e, a volte, persino, negativamente. Basta pensare, all’interno della Cei, alla distanza tra il presidente che era favorevole e il segretario della Cei che ha addirittura scoraggiato, indirettamente, queste esigenze di manifestare. Ritengo che le persone non abbiano proprio capito che cos’è, veramente, la famiglia. Non l’hanno capito, non l’hanno studiato, non l’hanno discusso, non sono in grado di stabilire perché la famiglia è l’elemento trainante della società, trainante proprio dell’economia di un Paese.

Non c’è consapevolezza?

Credo piuttosto che ci sia una colpevolezza estrema, non ho dubbi su questo.

“La demografia è un fattore chiave. Se non sei capace di mantenerti biologicamente, come pensi di mantenerti economicamente, politicamente e militarmente? E’ impossibile. Rispondere a questo consentendo l’ingresso di persone da altri Paesi, è una soluzione economica ma non risolve il tuo vero malessere, quello di non essere capace di conservare la tua civiltà”. Lo ha detto Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria nel 2012. A quale Primo Ministro europeo farebbe rileggere questa dichiarazione?

La farei leggere al Papa.

Per l’introduzione del danaro non è stato necessario nessun intervento statale. Il danaro esiste grazie all’uso della ragione. Ma oggi il danaro è considerato quasi il male assoluto. Si vorrebbe mettere al bando il denaro contante, si professa un egualitarismo tanto infondato quanto ostentato. Ma, molto banalmente, se lo “spettro” della disuguaglianza viene combattuto, il danaro non circola più e tutti diventiamo poveri. E allora, i poveri, chi li aiuta?

Distinguerei l’aspetto della creazione di ricchezza dalla circolazione in senso stretto del danaro liquido, che si cerca di scoraggiare. Cosa che ha una sua comprensibilità, perché è una delle attività finanziarie che può dare l’immagine dell’evasione e del riciclaggio di danaro sporco. Evidentemente la circolazione del liquido permette alcuni illeciti. Però la distinguerei. Invece sulla creazione di danaro e sulla colpevolizzazione di chi ha i soldi, ecco, questo è un aspetto che merita molta più attenzione.

Anzitutto l’uomo è stato creato affinché operasse, se l’uomo opera bene e fa bene le cose che deve fare, genera valore e ricchezza. Su questo non c’è dubbio. E’ nella natura umana: facendo bene il proprio lavoro, l’uomo crea valore, ricchezza. La creazione di ricchezza è insita addirittura nel comportamento dell’uomo che, operando, svolge un ruolo economico e sociale. L’uomo dal punto di vista economico ha tre anime. E’ produttore di ricchezza, è consumatore e risparmiatore ed è investitore. Il ciclo economico, che riguarda l’individuo è fatto quindi da tre azioni: l’uomo deve poter intraprendere, deve poter consumare e deve poter investire. Quando noi frustriamo queste tre anime dell’uomo economico, creiamo degli ostacoli enormi alla sua stessa vita socio-economica.

E’ quello che è accaduto con una globalizzazione forzata, accelerata, che ha squilibrato completamente queste tre anime. Negli ultimi trent’anni non abbiamo creato lavoro. Abbiamo soltanto imposto un consumismo esasperato e sempre più a debito. Abbiamo interrotto il ciclo di creazione di risparmio e quindi di investimento. Il nostro obiettivo sarà riequilibrare le tre anime dell’uomo. E’ il primo problema che riguarda la ricchezza.

Quanto all’egualitarismo?

L’egualitarismo aiuta a capire alcuni atteggiamenti anche della Chiesa: quelle interpretazioni da parte di membri importanti della gerarchia che hanno un effetto, diciamo così, consolatorio nei confronti della mancanza di danaro. Anche questo possiamo capirlo. Quello che io non capisco è l’aspetto accusatorio contro il danaro. Non è vero che chi ha danaro e chi ha ricchezza li ha sempre ottenuti male e li usa male. Questa è una sciocchezza assoluta. Bisogna dimostrarlo. La creazione di ricchezza è un bene addirittura comune: se io creo ricchezza, creo le basi per poterla ridistribuire. Se invece non creo ricchezza cosa faccio? Distribuisco la povertà? La ricchezza creata e investita crea posti di lavoro, occupazione, benessere, che è necessario nella situazione economica in cui ci troviamo oggi, di crisi, di difficoltà ad uscirne. Essere povero non è affatto un merito. E’ un merito essere ricco e vivere da povero. Questa forma di pauperismo è anche diseducativa e completamente sbagliata.

Quindi il danaro non è lo sterco di satana?

Non è vero che la ricchezza o il danaro sono lo sterco di satana. Lo sterco di satana è la cultura sbagliata che porta l’uomo a valorizzare esageratamente il danaro. Il danaro è uno strumento, un mezzo. Che può essere usato bene o male. Esattamente come la cultura. C’è lo spreco nel danaro e c’è lo spreco nella cultura. Ma il cattivo uso della cultura nasce prima di quello del danaro. Perché l’uso cattivo del danaro è funzione dei valori che io do alla vita, del valore che do alle mie azioni, del valore che do agli obiettivi che mi pongo e che sono conseguenza più di una visione culturale. Quella visione che Benedetto XVI nell’introduzione alla “Caritas in Veritate” spiega perfettamente: l’allontanamento dell’uomo dai valori di riferimento, il nichilismo. Questo comporta una confusione tra fini e mezzi , si confonde il mezzo con il fine e il fine con il mezzo, e si pensa che l’arricchimento sia un fine anziché essere un mezzo. Ma tutto questo lo produce la cultura. Quindi, se vogliamo identificare un nemico della nostra civiltà, in questo momento, è la cultura sbagliata.

La nuova religione dell’ambientalismo e dell’ecologismo non fa che ricordarci che l’elemento in più al mondo, in fin dei conti, è l’uomo. Unica causa dei “malesseri ambientali”. Niente di scientificamente dimostrabile, bisogna aggiungere. In questa ottica l’uomo rischia di perdere la sua dignità, ed è da tanti considerato quasi come l’elemento che guasta la creazione, e perciò da tenere ai margini. La politiche anti-nataliste sono anche il frutto di un malinteso ambientalismo?

Nella storia dell’umanità, l’uomo vede due passaggi fondamentali: l’uomo centrale e l’uomo creato da Dio e a cui Dio dà l’impegno di salvaguardare la natura che lo circonda e di asservirla, di gestirla per il suo stesso bene. Uomo centrale, uomo fine di tutte le cose. Progressivamente l’uomo è diventato uno strumento, sempre di più. Da fine diventa mezzo, mezzo di produzione. Mezzo di consumo. Mezzo d’ investimento. Per arrivare oggi alla conclusione in cui ci troviamo: l’uomo, addirittura, è diventato cancro della natura. Quindi inutile e dannoso.

Siamo arrivati a questo attraverso la corruzione antropologica della visione dell’uomo, grazie soprattutto alle eresie. Ma, negli ultimi quaranta, cinquant’anni, con il sorgere del neomalthusianesimo ambientalista che si diffonde negli anni Settanta, in concomitanza con la fine del Concilio Vaticano II e della Enciclica “Humanae Vitae”, si arriva a contestare la dignità assoluta della vita umana. Addirittura alcuni teologi progressisti hanno invitato a disobbedire al Papa e agl’insegnamenti della sua Enciclica.

Nasce quella che viene chiamata “nuova teologia neoambientalista e neomalthusiana”, che propone con una serie di azioni il crollo della natalità. Il crollo della natalità per difendere l’ambiente. Cioè, l’ambiente compromesso dall’uomo cancro della natura. Bisogna allora ridurre il numero di uomini sulla terra perché distruggono l’ambiente. Questa teologia ha prodotto la più grande crisi economica, in questo secolo, che il mondo potesse immaginare. Che è conseguenza esattamente del crollo della natalità dovuta a tutto questo. Per questa ragione sono rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che la prima vera Enciclica di questo pontificato fosse una enciclica sull’ambientalismo.

Per scriverla sono stati consultati esperti che sono i responsabili di quella cultura neomalthusiana ed ambientalista che ha creato la stessa situazione che oggi ci troviamo a dover risolvere. Chi ha creato il problema dell’ambiente, sono stati certi ambientalisti.

Si può dire allora che l’ambientalismo è quasi una religione?

Probabilmente sì. Perché l’ambientalismo, quello gnostico, quello vero, quello che è il fondamento delle teorie ambientaliste moderne, vede nella terra l’incarnazione dell’angelo ribelle, che si scontrò contro l’affermazione della Verità. La gnosi vuole che l’angelo ribelle si sia incorporato nella terra sacralizzandola, e dando quindi alla terra una dignità addirittura superiore all’uomo stesso. Ecco perché l’ambientalismo preso come religione universale del XXI secolo è preoccupante. E’ manifestamente un ambientalismo che non ama l’uomo. Addirittura vuole difendere la terra dall’uomo.

A questo punto ci sarebbero tante altre considerazioni da fare che sono però questa volta più scientifiche. Ma è vero che c’è un problema ambientale? Ma è vero che il problema ambientale lo ha provocato l’uomo? Noi sappiamo che gli scienziati non sono affatto d’accordo che ci sia un problema ambientale dovuto all’uomo che inquina. L’aumento di CO2 secondo moltissimi scienziati avviene attraverso la traspirazione dei mari o attraverso delle modifiche nei cicli climatici che sfuggono completamente all’uomo, che nulla hanno a che vedere con l’opera dell’uomo. Certo l’opera dell’uomo in parte c’è stata, ma perché? Qual è la parte negativa, di carattere ambientalista, che c’è stata negli ultimi trent’anni? E’ legata proprio al crollo della natalità che ha provocato quell’effetto che io definisco della “delocalizzazione produttiva”.

Il mondo occidentale ha deindustrializzato, è diventato un mondo assolutamente ed esclusivamente consumista e ha trasferito in Asia le produzioni. Ora, questo trasferimento delle produzioni è avvenuto in tempi molto brevi in Paesi che non hanno dato molta attenzione alla tutela dell’ambiente. I filtri per l’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo loro li hanno adottati in modo a dir poco relativo. Se vogliamo, l’eccesso di CO2 è stato addirittura provocato dagli ambientalisti, che hanno influenzato le scelte di crescita della popolazione dell’Occidentale, trasferendo in Oriente dei problemi di produzione che alla fine hanno danneggiato l’ambiente, come l’eccesso di consumo. Le tre vetture per famiglia, i consumi esasperati e la concentrazione nelle grandi città, con le conseguenti ripercussioni ambientali, sono stati provocati esattamente dagli ambientalisti neomalthusiani negli anni Settanta.

In una intervista, lei ha detto che San Tommaso Moro è uno dei suoi Santi di riferimento, e che sarebbe “lieto di finire sul patibolo come lui per le sue convinzioni, piuttosto che essere diffamato ed esposto alla diffamazione da uomini di Chiesa senza neppure il processo”. San Tommaso Moro, invece, un processo lo ebbe. Quale domanda, avrebbe voluto che le fosse stata fatta o, chissà, che le venisse rivolta in futuro?

Quando ho avuto quello che possiamo definire un “incidente”, la mia cacciata dallo IOR, quell’atto di assoluta ingiustizia, ho chiesto infinite volte, per iscritto e verbalmente, in vari ambienti, di essere interrogato. Che venisse ascoltata la mia verità o per lo meno il mio contributo alla verità. Anche per il bene stesso della Chiesa. Questo non è mai avvenuto. Ecco perché mi lamento di questo e mi domando se la Chiesa di cui sto parlando in questo momento, proprio questa Chiesa in particolare, non voglia conoscere la verità. Non l’ha voluta conoscere prima, e non la vuole conoscere neanche adesso. Perché anche negli ultimi tempi ho chiesto più di una volta di essere ascoltato, l’ho chiesto ai massimi livelli. Non sono mai stato ascoltato. Quindi non si sa né cosa è successo, né perché è successo. Conseguentemente, se non lo si sa, non bisogna meravigliarsi se i problemi che hanno causato queste difficoltà potrebbero non essere stati risolti, e addirittura non essere state più intraprese delle azioni correttive per farlo. Per il bene stesso della Chiesa. Nulla di più.

(Fine)