Governo Prodi, le mani sulle Autorità

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Governo Prodi, le mani sulle Autorità

18 Maggio 2007

Negli ultimi mesi le scelte del Governo hanno più volte toccato l’ambito di attività delle Autorità indipendenti creando effetti rilevanti e quasi tutti orientati nella medesima direzione. E’ difficile dire se in ciò vi sia un intento deliberato, sta di fatto che il segno distintivo dei vari interventi governativi è un impulso alla riduzione sia dell’autonomia sia della sfera d’azione delle Autorità.

Nel disegno di legge dedicato al “funzionamento delle Autorità indipendenti” e approvato in Consiglio dei Ministri il 2 febbraio 2007  l’art. 16 stabilisce che Presidenti e Componenti, ora designati per lo più (Antitrust e componenti Agcom) in sede parlamentare, siano nominati dal Governo (sia pure con il parere vincolante, espresso con maggioranza dei due terzi, di una Commissione parlamentare appositamente istituita). Lo stesso articolo, al comma 5, introduce una novità significativa: la revoca motivata del Collegio da parte del Consiglio dei Ministri qualora si verifichino “gravi e persistenti violazioni della legge istitutiva, impossibilità di funzionamento o prolungata inattività”. E’ evidente che la combinazione fra la spinta a uniformare i metodi di nomina e la novità della revoca aumenta la capacità di indirizzo del Governo sull’azione delle Autorità.

 
Nel disegno di legge dedicato alla “disciplina del settore televisivo” e approvato in Consiglio dei Ministri il 12 ottobre 2006 la qualifica di soggetto in posizione dominante e la definizione del mercato in cui tale posizione si costituisce non sono più affidate all’analisi e alla decisione dell’Autorità per le Comunicazioni, come era stabilito sia nella legge Maccanico del 1997 sia nella legge Gasparri del 2002, ma è determinata in modo rigido e univoco dall’art. 2 comma 1 (“il conseguimento di ricavi pubblicitari superiori al 45 per cento del totale dei ricavi pubblicitari del settore televisivo costituisce una posizione dominante vietata”). Si realizza così un duplice esproprio: non solo l’Agcom perde il potere di valutare caso per caso il mercato e l’azione dei soggetti che in esso operano, ma anche l’Autorità garante per la concorrenza si trova scavalcata da una norma che, stabilita per motivi inerenti al tema del pluralismo, incide sull’assetto di un mercato sottoposto alla sua competenza e per farlo utilizza procedure (un tetto fissato in maniera prescrittiva) difformi da quelle vigenti nel diritto anti-trust. Di fatto per entrambe le Autorità si tratta di una riduzione dei poteri e dell’autonomia di giudizio.

 
Nel decreto legge emanato il 31 gennaio 2007 e contenente “misure urgenti per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza” l’art. 1 stabilisce che “è vietata, da parte degli operatori della telefonia mobile, l’applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate aggiuntivi rispetto al costo del traffico telefonico richiesto”. La norma nasce, per esplicita dichiarazione del ministro Bersani, da un intento di tutela nei confronti del consumatore: i contributi per la ricarica non riflettono alcun reale costo degli operatori mobili e quindi costituiscono un semplice aggravio di prezzo per il cliente finale. Tuttavia è all’Agcom che, in base all’art. 71 del Codice delle comunicazione elettroniche, compete la tutela dei consumatori nell’ambito delle telecomunicazioni e quindi l’eventuale adozione di misure al riguardo dei contributi di ricarica. Peraltro, in un mercato largamente competitivo qual è quello della telefonia mobile l’obiettivo di tutelare il consumatore di per sé non legittima prezzi articolati secondo uno schema prescritto e quindi il 27 giugno 2006 Agcom e Agcm avviano un’indagine conoscitiva per esplorare la questione. L’esito dell’indagine, conclusa a novembre, mostra che l’esistente configurazione dei prezzi non consente ai consumatori “un’informazione completa, veritiera e dunque adeguatamente trasparente”. Di conseguenza il 13 dicembre l’Agcom apre una consultazione pubblica fra gli operatori e le associazioni dei consumatori allo scopo di definire “un intervento regolamentare finalizzato a imporre in capo agli operatori la fornitura di un’informazione pienamente trasparente relativa all’entità del prezzo dei servizi di telefonia prepagata”. Il decreto-legge, intervenuto nel mezzo della consultazione pubblica, interrompe il percorso decisionale dell’Autorità e di fatto le impedisce di esercitare competenze che le appartengono in base alla legge nazionale e alle direttive Ue del luglio 2002 che istituiscono un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

L’ultimo caso di interferenza del Governo nell’operato delle Autorità indipendenti concerne il brusco mutamento di impostazione e di linea che nella seconda parte del 2006 l’Agcom manifesta sul tema della rete d’accesso nella telefonia fissa e sulle sue possibili valenze anticompetitive. E’ quasi naturale collegare tale scarto di strategia regolatoria alla polemica che si accende fra il Governo e Telecom Italia nel settembre 2006 e che ha per oggetto principale la proprietà e la gestione della rete d’accesso. Le date sono essenziali per capire la vicenda.  Il 12 gennaio 2006 l’AGCOM approva l’analisi, avviata nei mesi precedenti, di quel particolare segmento dell’attività telefonica formato da “mercato dell’accesso disaggregato all’ingrosso alle reti e sottoreti metalliche, ai fini della fornitura di servizi a banda larga e locali”. E’ un mercato di particolare rilievo perché si applica a quel tratto di infrastruttura che corre per lo più nel sottosuolo delle città e collega la rete telefonica fissa alle abitazioni: a causa della sua ubicazione è difficilmente replicabile e Telecom Italia, che l’ha ereditata dall’azienda pubblica che fino al 1998 era l’unica a fare telefonia, lo gestisce in condizioni  di quasi monopolio. Per questo motivo l’analisi del mercato e la proposta di terapia che ne consegue (entrambi sono atti che l’AGCOM è impegnata a compiere per rispettare il percorso di liberalizzazione che la Commissione ha stabilito, in modo vincolante per tutti i Paesi UE, con le Direttive del 2002) hanno speciale importanza: senza adeguati correttivi Telecom potrebbe valersi del suo stato di monopolista per condizionare o persino mettere fuori gioco – ad esempio con tariffe e condizioni esose – i concorrenti che sono costretti, per fornire i propri servizi, ad acquisire passaggi sulla sua infrastruttura esclusiva (in quanto non replicabile). L’analisi 2006 sfocia in una serie di obblighi regolamentari a carico di Telecom e in un gruppo di misure a garanzia  dei diritti degli utenti finali che “incidono sugli aspetti gestionali dei servizi ad accesso disaggregato”. AGCOM è convinta che tali misure – approvate anche all’Antitrust e alla Commissione UE – siano sufficienti a garantire un’arena competitiva efficiente e paritaria e si riserva il potere d’intervenire, per ulteriori miglioramenti%2C “nel corso del processo di implementazione”.

Durante l’estate il Governo matura l’idea che sia bene separare la principale rete fissa di telefonia dai servizi che per suo mezzo sono sviluppati e portarla, insieme ad altre infrastrutture (gas, autostrade, elettricità) separate dai loro attuali proprietari, in una speciale holding delle reti. E’ il famoso Piano Rovati che vuole togliere a Telecom il suo principale asset fisico. Non esiste in Europa un solo Paese in cui il proprietario della rete d’accesso non fornisca anche servizi di telecomunicazioni: tutti gli ex monopolisti sono grandi operatori integrati in verticale; ovunque le garanzie di equa competizione non dipendono da scorpori ma passano attraverso o congegni tecnici (unbundling) o speciali condizioni di prezzo o limitazioni alle informazioni trasferite dalla divisione che gestisce la rete alla divisione commerciale dell’ex monopolista (per lo più combinazioni delle tre misure): anche la delibera di gennaio dell’AGCOM si muove su questa falsariga. Dopo la caduta del Piano Rovati, il Governo comincia a divulgare il proposito di estendere per legge i poteri – già molto ampi – che AGCOM detiene al fine di garantire l’equità della competizione sulla rete fissa e che derivano dall’ambito comunitario: da una lato è un segnale a Telecom per rimarcarne la dipendenza dalle decisioni del Governo, dall’altro è una rotta operativa indicata, in modo quasi prescrittivo, all’Autorità. Il 2 maggio 2007 l’AGCOM avvia una consultazione pubblica “sugli aspetti regolamentari relativi all’assetto della rete di accesso fissa” in cui la posizione dell’anno precedente è di fatto smentita, e per contro, ci si chiede se “gli obblighi imposti all’operatore incumbent siano sufficienti a correggere le criticità strutturali del mercato delle telecomunicazioni fisse in Italia derivanti dalla mancanza di una effettiva concorrenza tra infrastrutture e dal pieno controllo della rete di accesso da parte dell’ex monopolista.

L’invasione di campo attuata con un progetto di legge che intende revisionare poteri stabiliti in sede europea si completa con l’allineamento dell’Autorità alla nuova strategia indicata dal Governo. I quattro casi finora richiamati mostrano nell’insieme una linea comune: limitazioni di poteri, invasioni di campo, condizionamenti delle attività. Le Autorità Indipendenti hanno finora aiutato a liberalizzare i mercati e a garantire la loro competitività raccordando sempre meglio l’Italia all’Europa: reprimerne l’attività a favore delle scelte politiche di governo è un grave segnale di regressione, soprattutto in un paese dove tanta parte dell’economia è in mano a società pubbliche (nazionali e locali) e a regolatori politici (nazionali e locali).