Gran Bretagna: Theresa May si spezza ma non si piega
09 Giugno 2017
“La grande scommessa è fallita”, titola il Times. La “Hard Brexit”, trattare cioè da una posizione di forza l’uscita dalla Ue per la Gran Bretagna, su cui il primo ministro inglese Theresa May aveva scommesso tutto chiamando il Paese al voto anticipato, adesso si complica, si complica tanto da far dire a qualcuno che lo schema è saltato e ad essere “hard” è stata solo la notte del primo ministro. Trattative più lunghe e complesse con Bruxelles, dunque, ma partendo dal presupposto che ormai gli inglesi si sono espressi, e sono fuori dall’Europa.
Quella della May alle elezioni in Gran Bretagna appare una “non vittoria”, i Conservatori vincono le elezioni ma adesso hanno il problema di formare una maggioranza in parlamento, servono seggi per evitare lo spettro dello “hung parlament”, come lo chiamano i sudditi di Sua Maestà, “parlamento appeso”, “parlamento impiccato”, l’ingovernabilità, insomma. L’ultima volta in Gran Bretagna accadde nel 1974 e si tornò al voto nel giro di qualche mese. Intanto Theresa fa sapere ufficiosamente che non farà un passo indietro, non si dimette, in attesa di sentirla parlare stamattina verso le undici.
I tories conservano la loro base elettorale nel Sud del Paese, i laburisti si radicano nel Nord, avanzano a Londra e diventano competitivi in Scozia. E Jeremy Corbyn, lo sfidante socialista che dopo aver conquistato a sorpresa la leadership del partito nel 2015 è stato capace di dare vita a una grande rimonta in questa campagna elettorale, si mostra sorridente e soddisfatto nella sua fortezza di Islington. Chiede alla May un passo indietro, critica la posizione assunta dal governo inglese su Brexit. Lui che sul tema non si è mai esposto con la necessaria chiarezza.
Al coro si aggiungono anche quei conservatori che si erano schierati per il Remain e adesso vogliono la testa del primo ministro, come l’ex cancelliere dello scacchiere Osborne, che dice “stanotte la hard Brexit è finita nel cestino della spazzatura. Theresa May sarà probabilmente uno dei primi ministri con il mandato più breve della nostra storia”. A maramaldeggiare, naturalmente, è anche l’Unione Europea, con il commissario al bilancio tedesco, Oettinger, che parla di trattative “difficili” e spiega: “Serve un governo capace di decidere, che possa negoziare l’uscita della Gran Bretagna. Con un partner debole al tavolo dei negoziati, vi è il rischio che le trattative siano difficili per entrambe le parti”. Ma l’Europa farebbe meglio a non vendere cara la pelle dell’orso prima di averla tra le mani.
Stamattina la City di Londra, in apertura, guadagna 1,13%. Se il settore bancario è in calo, gli altri comparti soprattutto nell’export sembrano festeggiare il calo della sterlina. Mentre “voci autorevoli” fanno sapere che il primo ministro non ha nessuna intenzione di rinviare i negoziati sulla Brexit con Bruxelles, con il pretesto che “non c’è un governo in Gran Bretagna”.
Last but not least, una spiegazione della “non vittoria” dei conservatori, di cui poco si parla ma che secondo noi non va sottovalutata, è il tema sicurezza. Londra è in guerra, la guerra scatenata dai jihadisti sul territorio inglese, il sangue versato che ha influenzato questa campagna elettorale dalla strage alla Arena di Manchester agli ultimi attentati di Londra. Per gli inglesi, a quanto pare, nessuno dei due sfidanti, né la May, né tantomeno Corbyn, sembrano garantire all’elettore medio britannico la tanto sospirata “sicurezza”.
Intorno alle 11,00 (ora italiana) arriva la prima indiscrezione sulle sorti del Paese: Theresa May ha il sostegno degli unionisti del Dup per la formazione di un governo. E’ Sky News a riportare la notizia, citando fonti dentro il partito unionista nordirlandese. E’ così che la premier britannica ha deciso di recarsi alle 12.30 locali (13.30 italiane) dalla regina Elisabetta per chiederle il permesso di formare un Governo di coalizione con il partito unionista nord-irlandese. Solo allora la leader dei conservatori parlerà.