Grazie a Luca Confindustria non è più autorevole
01 Ottobre 2007
di redazione
Vita dura per la Confindustria montezemoliana, adesso le toccherà confrontarsi con la finanziaria delle mille mancette (“e senza un’idea” come ha osservato Massimo Giannini sulla Repubblica) e non sarà una passeggiata. Una parte dei guai è oggettiva. Prodi annunciando un intervento abbastanza consistente sull’Irap e un po’ meno sull’Ires, ha anche detto che questo intervento avverrà a costo zero, mettendo le mani su incentivi e tasse legati alle imprese. I rischi per le tensioni che si potranno creare per interventi bruschi e poco meditati sulla vita delle già molto provate aziende italiane sono altissimi, di qui la prudenza confindustriale che parla di principi interessanti ma che cerca di tenersi lontana da ogni giudizio impegnativo. Anche perché un’altra parte dei guai derivano da errori che invece sono “soggettivi”. E questo riguarda in una qualche misura anche le indicazioni di Luca Cordero di Montezemolo sullo scambio rinuncia incentivi-meno tasse, una presa di posizione sostenuta per il suono delle parole, perché faceva fare bella figura, perché consentiva convergenze con Walter Veltroni, più che sulla base di una seria meditazione, con la necessaria prudenza di uno che scambia qualcosa di acquisito per qualcosa che dovrà acquisire.
La sensazione nella base imprenditoriale, pure molto generosa con il suo presidente, è che Montezemolo abbia “parlato” troppo in tutti questi ultimi anni: prima ha di fatto sostenuto il centrosinistra, poi si è rannicchiato colpito dall’avventura prodiana, infine si è infilato nel tunnel dell’antipolitica. Con l’idea di fare la Confindustria protagonista, la ha in realtà esposta a giochi che non si potevano controllare. Invece di concentrarsi sulle partite che riguardano le imprese che rappresenta, Montezemolo è partito prima alla caccia di un impossibile programma liberista del centrosinistra, infine in una strana battaglia che appare avere come obiettivi ora l’abolizione delle province ora quello delle comunità montane.
Chi detta oggi il clima politico sociale (peraltro assai scadente e provvisorio) sono forze come da una parte la Cisl dall’altra le associazioni del lavoro autonomo che Montezemolo aveva cercato di emarginare, e lo fanno concentrandosi sul “loro programma” , senza svolazzi retorici. Mentre la Confindustria è ridotta a un silenzio imbarazzato quando si tratta di dare giudizi generali, e a un atteggiamento umile e remissivo quando pone proprie rivendicazioni.
E nel suo complesso la situazione peggiora. Per spezzare il blocco massimalista della Cgil, tra mussiani, rifondaroli ed estremisti alla Giorgio Cremaschi, si è dovuto dare largo spazio al settore del pubblico impiego che pesa sempre più nell’organizzazione guidata (per così dire) da Guglielmo Epifani: le indicazioni nella Finanziaria sulla rinuncia di rapporti di lavoro flessibili da parte delle amministrazioni dello Stato, non solo è una cattiva notizia in generale perché condiziona i rapporti contrattuali anche nel settore privato, ma è anche la evidente prova che tutti i discorsi sul taglio strutturale della spesa pubblica sono campati aria. Solo mantenendo una certa flessibilità nei rapporti di lavoro legati all’amministrazione pubblica, si può pensare di programmare uno snellimento progressivo del settore. Appena i rapporti di lavoro si stabilizzano, le ipotesi di trasferimento da settore a settore, da aerea ad area del Paese diventano fantasie. E gli unici tagli possibili diventano quelli funzionali all’esistenza dello Stato, dalla Difesa alla sicurezza, e infine alle infrastrutture.
Se la Confindustria avesse fatto meno politica, oggi avrebbe l’autorevolezza per poche mirate critiche che potrebbero essere decisive. Così si deve limitare a evitare che vengano inferti troppi danni alle imprese, manovrando per difendere solo alcuni obiettivi (per di più mirati a una parte del mondo confindustriale, la grande industria).