Guantanamo ha un nuovo grande inquisitore. Il giudice spagnolo Garzón
17 Aprile 2009
Quando qualche mese fa il presidente Obama ha dichiarato di voler chiudere il carcere di massima sicurezza di Guantanamo forse non era del tutto consapevole che stava aprendo un vaso di Pandora destinato a sconvolgere gli equilibri politici negli Stati Uniti. Da una parta la nuova amministrazione americana ha scoraggiato qualsiasi possibilità di processare George W. Bush e i suoi collaboratori per la gestione del carcere sull’isola di Cuba, dall’altra Obama sarà obbligato a prendere posizione sulla controversa questione delle torture inflitte ai detenuti. Una scelta che rischia di screditarlo (se dovesse correggere le sue dichiarazioni su Guantanamo) o danneggiare gli Stati Uniti (se darà il via libera a un processo per violazione dei diritti umani contro il suo predecessore).
Negli Stati Uniti le richieste degli attivisti per i diritti umani di investigare sui crimini commessi nel carcere cubano sono forti e numerose. Dichiarato illegale da Obama, Guantanamo è diventato per molte organizzazioni, e con il sostegno di gran parte dei media e del mondo intellettuale, il simbolo del “dispotismo” di Bush. Fin dai primi giorni dopo il suo insediamento, Obama ha dichiarato di voler voltare pagina e andare oltre, ma senza offrire indicazioni più precise. Ora si trova a fare i conti con le promesse di trasparenza lanciate in campagna elettorale. Tra i critici a oltranza c’è il senatore democratico del Vermont Patrick Leahy che ha chiesto una “Truth Commission” – ispirata alla commissione creata in Sud Africa durante la transizione dall’apartheid – per mettere luce sui responsabili delle torture commesse a Guantanamo.
A mettere in difficoltà il presidente americano ci ha pensato anche un giudice straniero. Si tratta di Baltasar Garzón, il magistrato spagnolo conosciuto per aver dichiarato illegale Batasuna – il braccio politico dell’Eta –, e per aver processato il dittatore cileno Augusto Pinochet. Per alcuni osservatori quella di Garzón è una guerra personale contro la tortura, condotta da una toga giustizialista che si trova a suo agio sulle prime pagine dei giornali. Fatto sta che il magistrato spagnolo ha riaperto un fascicolo messo da parte nel marzo del 2008. Un paio di giorni fa, nonostante il parere negativo del procuratore generale spagnolo, Garzón ha ottenuto il via libera dell’Audiencia Nacional per investigare su 6 alti funzionari dell’amministrazione Bush che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, creò il memorandum servito come base giuridica per aprire il centro speciale di detenzione di Guantanamo.
La querela era stata avviata dalla “Associazione per la Dignità dei Prigionieri” con lo scopo di investigare un presunto crimine contro la comunità internazionale. Nel testo della denuncia si legge che “i sei avvocati parteciparono all’elaborazione, approvazione e al funzionamento del sistema giuridico di Guantanamo. Ciò significa che hanno dato copertura alle torture commesse sui detenuti, privandoli del senso della vista e dell’udito affinché confessassero i loro delitti”.
Nel mirino del giudice spagnolo ci sono i “Bush Six”, gli uomini di fiducia dell’ex presidente e del suo vicepresidente Dick Cheney: l’ex procuratore generale Alberto Gonzales; l’ex capo dell’Office of Legal Counsel (OLC) Jay Bybee; l’ex avvocato dell’OLC John Yoo; l’ex avvocato del Dipartimento della Difesa William J. Haynes II; David Addington, consigliere dell’ex vicepresidente; e l’ex sottosegretario della Difesa Douglas Feith. Nessuno uno di loro, paradossalmente, è accusato di aver torturato o di aver ordinato torture ai danni dei detenuti.
Secondo il concetto della “giurisdizione universale”, consacrata nel sistema penale spagnolo, la magistratura iberica ha la facoltà e l’autorità di processare le autorità americane per presunte violazioni contro il diritto internazionale perché, tra i detenuti di Guantanamo che hanno denunciato d’essere stati torturati, c’erano anche cinque spagnoli. Si tratta della stessa figura giuridica che nel 1960 permise a Israele di processare il militare tedesco Adolph Eichmann per il suo coinvolgimento nell’Olocausto, nonostante i crimini fossero stati commessi in un altro paese.
A decidere sulla colpevolezza dei “Bush Six” e sulle torture di Guantanamo potrebbe essere quindi un tribunale spagnolo. Una possibilità che ha già scatenato l’opposizione degli americani, tanto di chi invoca giustizia quanto di chi vorrebbe chiudere il capitolo Guantanamo. Entrambi gli schieramenti infatti vogliono che siano i tribunali statunitensi a giudicare sull’operato dell’amministrazione Bush. I media e i giornali degli Usa hanno iniziato a parlare di “inquisizione spagnola” e Douglas Feith ha fortemente negato le accuse definendole “un insulto nazionale con conseguenze molto dannose”.
Obama sembra essere indeciso su quale strada imboccare. Se da un lato la scorsa settimana Gordon Duguid, portavoce del Dipartimento di Stato, ha assicurato che la questione riguarda esclusivamente i tribunali spagnoli e non ha nulla a che fare con l’amministrazione Usa, un articolo dello scorso 8 aprile apparso sul Wall Street Journal sostiene l’opposto. Secondo il quotidiano infatti i contatti con il governo di Madrid sono stati avviati lo stesso 17 marzo, data dell’apertura del fascicolo nei tribunali spagnoli. E’ proprio in quella data che il pubblico ministero Javier Zaragoza sarebbe stato invitato ad un incontro “corretto e formale mirato alla raccolta di informazioni sul caso” nell’ambasciata americana di Madrid. Dalla riunione sarebbe uscito un compromesso, con i magistrati spagnoli pronti a sospendere l’indagine se gli Stati Uniti avvieranno a loro volta un’inchiesta.
Quest’ultima sarebbe il complemento ideale delle altre due inchieste in corso al Senato americano sul ruolo della CIA e del Pentagono nella vicenda di Guantanamo (le stesse che hanno respinto l’ipotesi delle “mele marce” tra i militari implicati nelle torture, parlando di ordini arrivati dall’alto), ma comprometterebbe la posizione di Obama nei confronti del suo predecessore. Obama ha ripudiato pubblicamente le politiche antiterroristiche di Bush ma il suo Dipartimento di Giustizia continua ad appoggiare numerosi argomenti legali sostenuti dall’amministrazione repubblicana nei casi di sicurezza nazionale. D’altro canto, l’inerzia obamiana potrebbe comportare non solo l’interferenza spagnola negli affari della politica degli Usa ma anche, nel caso di un verdetto di condanna, ulteriori processi contro Cheney e lo stesso Bush.
Fatto sta che, mentre Obama è impegnato a decidere come risolvere il dilemma, il giudice Garzón va avanti con il suo processo contro i 6 alti funzionari. Sulla loro testa pende un mandato d’arresto direttamente applicabile non solo se gli accusati metteranno piede in Spagna, ma anche in altri 24 paesi dell’Unione Europea.