Guantanamo, il braccio di ferro tra Obama e il Senato continuerà
25 Maggio 2009
Erano gonfi di soddisfazione i senatori del Partito Repubblicano che alla fine della settimana scorsa si sono presentati di fronte alla stampa americana. Obama è finito sotto per la prima volta in Senato, dove gode di una maggioranza di circa il 60 per cento dei voti. Ed è stato sconfitto proprio su uno dei capisaldi della sua promessa di cambiamento: la chiusura del carcere di Guantanamo.
Soddisfazione da parte repubblicana perché il revival degli ultimi giorni, complice la controffensiva portata avanti dall’ex vicepresidente Cheney nel bunker dell’American Enterprise Institute, ha spostato per la prima volta l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica dalla crisi economica al tema della sicurezza, che rappresenta la tradizionale cassaforte del consenso attorno all’Elefantino.
A raccogliere il successo repubblicano c’era il senatore superconservatore dell’Oklahoma James M. Inhofe. Qualche tempo fa – in un video mandato in rete su You Tube dall’Afghanistan – Inhofe aveva condannato i tagli alle spese militari del segretario alla difesa Gates: “Obama sta disarmando l’America”. Oggi incassa il successo della sua linea dura. Accanto a lui c’era il senatore del Kansas “Pat” Robertson, l’ex chairman della commissione intelligence del Senato. Uno che ha sostenuto il Patriot Act e la legislazione d’emergenza contro il terrorismo e che fino al 2007 godeva ancora di un consenso popolare del 51 per cento. E molti altri.
Anche un buon numero di democratici legati al mondo militare e della giustizia hanno capitolato votando insieme al Gop il taglio dei fondi previsti da Obama per chiudere Guantanamo. I senatori del Michigan Carl Levin, Jack Reed di Rhode Island, Patrick Leahy del Vermont, per ricordare i più noti alle cronache italiane. “Guantanamo ci ha reso meno sicuri – ha detto il leader della maggioranza democratica al senato Harry Reid – tuttavia… non permetteremo mai che dei terroristi siano rilasciati sul suolo americano”.
Il presidente non si arrende e il braccio di ferro con il Senato è destinato a continuare. “Guantanamo sarà uno dei problemi più importanti della mia amministrazione – ha detto Obama dopo aver ingoiato la sconfitta – si tratta di una situazione complicata e di non facile soluzione… Bisogna trovare una soluzione ineccepibile sotto il profilo legale e istituzionale, che sia rispettosa della legge”. L’impressione è che ci vorrà più di un anno, come aveva promesso firmando l’ordine di chiusura del carcere lo scorso 21 gennaio.
L’ala liberal del partito democratico con le sue truppe cammellate di avvocati e associazioni umanitarie non è stata messa all’angolo. Lo speaker della Camera, Nancy Pelosi, dopo aver scatenato un polverone sulla Cia, ha fatto un passo indietro negando di voler rilasciare altre dichiarazioni alla stampa. La sua figura non appare compromessa, almeno non del tutto, visto che continua ad avere l’appoggio della Camera. Ma i sondaggi l’hanno punita: il 47 per cento degli americani, secondo Gallup, disapprovano il modo in cui
Questa settimana il Weekly Standard dedica la sua copertina a Ronald Reagan. Il titolo è eloquente: “Reagan in opposition”. Il tema principale di quello che sarebbe diventato uno dei più amati presidenti americani fu la difesa della sicurezza americana. Qual è la politica per una sicurezza nazionale sostenibile nell’America post-11 Settembre? Cheney ha ricordato la risposta dell’amministrazione Bush. Obama deve ancora rispondere a questa domanda.