Guida alla rivoluzione in Egitto: chi sono i Fratelli Musulmani

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Guida alla rivoluzione in Egitto: chi sono i Fratelli Musulmani

05 Febbraio 2011

C’è molta confusione sulla crisi egiziana, ma è vitale che la gente capisca cosa c’è in gioco.

La prima questione è se a cadere sarà il dittatore o il regime nella sua interezza. Le semplici dimissioni del presidente Hosni Mubarak dalla sua carica non sarebbero un gran problema. Il vicepresidente Omar Suleiman o qualcun altro prenderà il suo posto, il regime farà qualche cambiamento per costruirsi un consenso (e probabilmente reprimere la Fratellanza Musulmana) e la politica dell’Egitto – di certo la sua politica estera – resteranno relativamente invariate.

Tuttavia, se a cadere dovesse essere l’intero regime, ci si ritroverà in un periodo di anarchia – che sarebbe male – o con un nuovo regime. Che sarebbe anche peggio. I grandi problemi sono tre:

La debolezza dei moderati.

Gruppi moderati con una buona organizzazione e un’ampia base di consenso non ce ne sono. Come potrebbe un uomo politico di questo genere competere con l’altamente organizzata e disciplinata Fratellanza Musulmana che sa precisamente quel che vuole? E anzi, il tanto stimato El Baradei è un uomo debole, inefficiente e privo della benché minima esperienza politica. Gran parte degli attivisti che hanno appoggiato la sua candidatura sono essi stessi islamisti.

Senza contare che gran parte dei “moderati” non islamisti tanto moderati non sono. In stridente contrasto con i riformisti di altri paesi arabi, molti dei “democratici” egiziani sono essi stessi alquanto radicali, in particolar modo per quel che riguarda il pensiero anti-americano e anti-israeliano.

El Baradei, comunque, è ampiamente conosciuto per essere stato decisamente morbido con l’Iran quando stava guidando l’indagine sulla sua campagna di armamento nucleare. In qualità di leader dell’Egitto, se dovesse diventarlo, sarebbe chiaramente amichevole nei confronti di Teheran. Come potrebbero gli Stati Uniti costituire una seria coalizione contro l’Iran senza l’Egitto o la Turchia?

Il radicalismo pubblico.

Secondo un recente sondaggio Pew, il popolo egiziano è estremamente radicale persino a confronto di quello giordano o libanese. Alla domanda se preferissero “islamisti” o “modernizzatori”, il punteggio è risultato di 59 a 27 per cento a favore degli islamisti. A ciò si aggiunga che il 20 per cento ha affermato di vedere con favore al-Qaeda, il 30 per cento Hezbollah e il 49 per cento Hamas. E stiamo parlando del periodo in cui il loro governo faceva quotidianamente propaganda contro questi gruppi.

E che dire dei punti di vista religiosi? I musulmani egiziani hanno fatto le seguenti affermazioni: l’82 per cento vuole l’adulterio punito con la lapidazione, il 77 per cento vuole la fustigazione e l’amputazione delle mani per i ladri, l’84 per cento è favorevole alla pena di morte per ogni musulmano che cambia religione.

E allora, un popolo così radicale come potrà votare e quali politiche potrebbe appoggiare? È probabile che la Fratellanza Musulmana sarà molto popolare e vien da pensare che i moderati laici in giacca e cravatta non sarebbero granché capaci di competere in un appuntamento elettorale.

La fragilità dell’economia.

In un paese come l’Arabia Saudita il governo può corrompere l’opposizione. Non è così in Egitto, un luogo in cui le risorse sono poche (un po’ di petrolio, il canale di Suez) e la gente è troppa. E allora come potrà un governo rendere felice il popolo? Non sarà in grado di offrire degli standard di vita eccessivamente migliorati, più posti di lavoro e case più confortevoli. Al contrario, è probabile che sarà la demagogia – come tanto spesso è accaduto nel mondo arabo – il mezzo per conquistare voti e tenere le masse lontane dalle strade.

Ciò significa per certi versi una islamizzazione della vita sociale e ondate d’odio contro Israele e gli Stati Uniti, l’equivalente mediorientale del panem (le sovvenzioni per il generi alimentari saranno aumentate, ma come pagarle?) et circenses. I governi moderati di solito prosperano quando possono offrire benefici. Ciò in Egitto è altamente improbabile.

La forza e l’estremismo degli islamisti.

Se qualcuno vi dice che la Fratellanza Musulmana è mite e moderata non credeteci. I suoi discorsi e le sue pubblicazioni grondano acredine e rancore. Rendere la Sharia l’unica fonte di legge per l’Egitto è una delle sue pretese principali. I diritti dei cristiani e delle donne (almeno di quelle che non vogliono vivere in osservanza delle regole islamiste più radicali) finiranno per perdere forza in un paese governato dalla Fratellanza, anche solo come parte della coalizione. 

Quanto alla politica estera, riusciranno a sopravvivere sotto un regime del genere l’alleanza con gli Stati Uniti e il trattato di pace con Israele? Poi, è ovvio, il regime darà il proprio appoggio ai rivoluzionari islamisti ovunque essi siano. Anche El Baradei vuole un’alleanza con Hamas. Un regime del genere non avrà un atteggiamento amichevole nei confronti dell’Autorità Palestinese né si opporrà all’espansionismo iraniano (anche se potrebbe tranquillamente odiare l’Iran quanto i musulmani sciiti).

E quale sarà l’effetto sul resto della regione? Tutti sapranno – sia Israele che, allo stesso modo, i moderati arabi – che non possono dipendere dagli Stati Uniti. Gli islamisti rivoluzionari saranno incoraggiati a rovesciare il Marocco, la Tunisia, la Giordania e l’Arabia Saudita. Con un Libano a guida islamista (a tutti gli effetti, pur se soltanto in maniera non ufficiale), la Striscia di Gaza, l’Iran, la Turchia e con la partecipazione della Siria, cosa accadrà in Medio Oriente?

Il disastro peggiore è quello che non è riconosciuto come tale.

Ancora, tutto ciò non ha a nulla a che vedere col fatto che Mubarak stesso resti in carica o meno, e tutto a che vedere col fatto che il regime egiziano resti in piedi o no.

© The Rubin Report
Traduzione Andrea Di Nino