Haiti, le ragioni della popolazione in rivolta contro le Nazioni Unite

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Haiti, le ragioni della popolazione in rivolta contro le Nazioni Unite

20 Novembre 2010

Un Paese sull’orlo del collasso. Da quattro settimane Haiti è flagellata da un’epidemia di colera che ha ucciso fin’ora un migliaio di persone e che continua, varcando le frontiere, a espandersi a macchia d’olio nelle zone circostanti. La causa ormai è nota: il terremoto che ha colpito l’isola lo scorso mese di gennaio.

Come se non bastasse, però, all’imperversare della malattia – che, a detta di Stefano Zannini, capo missione di Médicins sans frontières (Msf), ha fatto registrare più di 100 casi al giorno, con un’impennata di dieci volte, nell’ultima settimana – si sono aggiunte sanguinose proteste. Centinaia di haitiani hanno manifestato davanti all’ufficio Onu di Hinche, scagliando sassi contro i soldati nepalesi, accusati dalla popolazione di aver propagato l’epidemia. Altri scontri si sono verificati davanti alla base della missione Onu (Minustah) a Quartier Morin, in un quartiere periferico di Cap Haitien dove è stato rinvenuto il cadavere di uno dei manifestanti, un uomo di 20 anni. Ma già nei mesi precedenti, nella capitale haitiana si registrava tensione e insicurezza. Proprio dai campi profughi, gestiti e creati dalle organizzazioni internazionali e dal grande slum di Citè Soleil sembra partita l’epidemia. Presto estesa a nord, a Cap Haitien, Port de Paix, Gonaives, Gros Morne; un altro caso è stato rilevato nella vicina Repubblica Domenicana.

Così, la rabbia di un popolo, che sembra essere oggetto della maledizione di Madre Natura, si catalizza sulle Nazioni Unite e sui caschi blu, addirittura obbligati e a sparare sulla folla per difendersi. La verità è che la gente locale è esasperata perché ha visto sprecati per mesi i fondi superiori alle necessità. Sì, perché dietro la tragedia c’è anche questo: una cattiva gestione degli aiuti. Si parla di duplicazione d’interventi, mancanza di soccorsi nelle aree remote, concentrazione dei fondi e delle attività nella capitale, aumento della corruzione, mafia della cooperazione e degli appalti, deperimento dell’agricoltura e delle esportazioni. Le cronache di questi giorni e le testimonianze provenienti da Haiti presentano uno scenario in cui tutto, insomma, appare fuori controllo. Gli stessi governatori locali, di fatto esautorati dalla burocrazia della cooperazione dopo decenni di finanziamenti dilapidati, non riescono a controllare niente e, per di più, sono concentrati nelle prossime elezioni del 28 novembre – uno dei giorni che dovrebbe, tra l’altro, registrare, secondo le stime di Msf, il picco del contagio.

Le Nazioni Unite – che hanno attribuito la responsabilità degli attacchi a “facinorosi” che cercano di sabotare le elezioni –, fanno sapere, intanto, che questo clima ostile sta ostacolando seriamente la risposta internazionale al problema: sono stati cancellati voli di aiuti, ridotti i progetti di deputazione delle acque, saccheggiati o bruciati nei magazzini gli alimenti. Dal canto loro, le ONG accusano le NU di aver saltato le autorità locali, di sprecare soldi in funzionari, di accentrare le operazioni rendendo tutto meno efficace. Al di là della polemica sul modo in cui l’epidemia è arrivata nel Paese (secondo gli scienziati, potrebbe essere stata portata dall’Asia molti anni fa), la Forza di Stabilizzazione delle Nazioni Unite è largamente impopolare perché è considerata come il volto pubblico del governo haitiano.

Il dato di fatto è che nella Repubblica delle ONG (ribattezzata così per la presenza di oltre 10.000 organizzazioni sul territorio, più tutta la banda delle NU) si continua a morire. Mentre lo scaricabarile delle responsabilità, pur nel caos più totale, non accenna a finire.