Haiti, lo “sviluppo in azione” è l’unico metodo per ricostruire davvero il paese

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Haiti, lo “sviluppo in azione” è l’unico metodo per ricostruire davvero il paese

08 Gennaio 2011

È passato quasi un anno da quando Haiti è stata devastata dal terremoto, ma le condizioni della popolazione sono ancora drammatiche. Finora, la partecipazione delle ONG e degli enti internazionali si è rivelata tutto fuorché efficace e, in molti casi, non ha fatto altro che deteriorare lo stato di cose, di per sé già catastrofico. Chi ha esperienza sul campo può contribuire a farci capire meglio qual è la situazione ad Haiti. Proprio per questo motivo, l’Occidentale ha intervistato Frederico Cavazzini, esperto portoghese in lotta alla corruzione e cooperazione allo sviluppo, che ha vissuto personalmente nel difficile contesto della "terra dimenticata da Dio".

 Com’è la situazione oggi ad Haiti, quasi un anno dopo il tragico terremoto avvenuto il 12 gennaio 2010?
La situazione è scioccante. Ad oggi il paese è distrutto come lo era subito dopo il terremoto e ci sono pochi segnali di miglioramento. La popolazione ha fame, è senz’acqua, senza elettricità, senza servizi igienici, e vive in condizioni estremamente difficili. Il terremoto ha distrutto l’80% degli edifici a Port-au-Prince e ha lasciato più di 1,5 milioni di sfollati. Queste persone sono diventate, ancora una volta, invisibili. Molta gente crede erroneamente che le cose stiano migliorando solo perché i media non danno voce e volto a questi individui. La verità è che quasi un anno dopo, la maggior parte degli haitiani che hanno perso le loro case e i loro beni, vivono ancora in condizioni precarie, nonostante i miliardi promessi al paese in aiuti. Il risultato del ritmo lento con cui è stata dispensata assistenza, per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie alla popolazione senza fissa dimora, è stata un’epidemia di colera che ha ucciso finora 2000 persone e ne ha colpite molte altre migliaia.

Ci dica di più sulla sua esperienza personale di Haiti.
Ad Haiti ho trascorso una settimana di volontariato con una straordinaria ONG cilena, l’Un Techo Para Mi Pais – UTPMP (Un tetto per il mio paese). Insieme ai miei colleghi, ho operato in un villaggio chiamato Canaan, che sembrava un campo profughi. Ci siamo totalmente mescolati alla comunità locale, dormendo in tenda o nelle case prefabbricate che stavamo costruendo noi stessi per le famiglie che hanno perso tutto quello che avevano, anche un tetto. Vivere con scarse provviste di acqua e cibo per una settimana, senza elettricità né servizi igienici, e lavorando giorno e notte per costruire quante più case possibili, è stato difficile ma, in compenso, molto appagante. Se una settimana è stata dura, non posso immaginare come si possa vivere in tali condizioni per quasi un anno. A dispetto della situazione avversa, in una settimana siamo stati in grado di costruire circa 300 case con le nostre mani e con il supporto della stessa comunità locale, che contribuisce al miglioramento delle proprie condizioni. Questa, per me, è "lo sviluppo in azione", che molte importanti organizzazioni dovrebbero mettere in pratica e invece non fanno.

Allora, che cosa stanno facendo ad Haiti?
Stanno perdendo il loro tempo con negoziati senza fine e piani di ricostruzione, mentre una percentuale consistente della popolazione vive ancora dentro rifugi precari, con cibo e acqua limitati, per lo più forniti da queste altre ONG che sono in campo, mentre Haiti, in aggiunta alla sua lunga lista di problemi, ha avuto una decennale crisi alimentare e importa la maggior parte di ciò che consuma. Naturalmente, sono d’accordo che ci sia bisogno di un piano concertato e a lungo termine per la ricostruzione del paese e per favorire il suo sviluppo economico, ma quando ci si trova di fronte ad un’emergenza umanitaria, penso che tutti gli sforzi dovrebbero essere messi a disposizione anzitutto per salvare le vite umane.

Cosa è necessario fare per migliorare la situazione?

Si tratta di una vera e propria emergenza. La prima cosa è prendere queste persone dalla strada e dare loro un tetto. Questo è ciò che UTPMP ha fatto con successo in un arco di tempo breve e solo con i mezzi messi disposizione da una Ong di piccole dimensioni. Per un approccio più ampio, è necessario il rilascio immediato degli aiuti promessi. La necessità di avere un alloggio deve essere riconosciuta come un diritto umano con misure immediate per permettere alle persone di tornare in una casa sicura, e i servizi di base devono essere resi disponibili a tutti. Senza un tetto, non ci sono le condizioni per crescere una famiglia, per trovare un lavoro, per andare a scuola, ecc. È la base per avere una vita dignitosa.

Quanto l’ha colpito psicologicamente una tale esperienza?
Mentre ero ad Haiti, ho convissuto abbastanza bene con tutta la miseria e la povertà attorno a me, probabilmente perché ero indaffarato col lavoro e stanco, ma quando sono tornato a casa ho avuto la possibilità di riflettere. La consapevolezza che ci sono tante persone che vivono in cattive condizioni è davvero difficile da sopportare, così come tutte quelle storie di perdite e lo sguardo spento negli occhi di quei bambini ancora scossi da una tale tragedia. Ma i sorrisi sui loro volti quando abbiamo dato loro le case, le forniture mediche o giocattoli, hanno dato un valore importante a quanto fatto.

Cosa ci dice sulle accuse rivolte ai volontari bianchi di aver diffuso l’epidemia di colera?
Alcuni locali hanno diffuso la diceria che i "volontari bianchi" sono stati la causa dell’epidemia di colera. Haiti è un paese dove la stregoneria e credenze voodoo sono molto forti e radicati nella cultura del paese, quindi è molto facile per qualcuno che sia rispettato nella propria comunità mettere in giro una voce del genere. Il risultato è che c’è stato un aumento delle violenze contro i volontari che vanno ad Haiti per aiutare e fornire assistenza. Quindi la nostra prossima missione fissata per gennaio, purtroppo, è stata rinviata. Non ci sono le condizioni, al momento, per garantire la sicurezza della salute e l’integrità fisica dei volontari. Ma sarà questione di tempo. Haiti non sarà dimenticata e ha ancora bisogno di tanto aiuto.

Come sta reagendo il governo?
Credo che il governo non stia facendo abbastanza per tenere sotto controllo l’epidemia di colera. Per esempio, non consente a ONG come l’UTPMP di sviluppare qualsiasi tipo di infrastrutture permanenti, di gestire i rifiuti e il sistema fognario, perché vogliono avere il pieno controllo dei campi profughi per maggiori investimenti futuri. Non riconoscono le nuove case costruite in Canaan come abitazioni permanenti. E la mancanza di servizi igienici appropriati è una delle ragioni principali della diffusione di un’epidemia come il colera. La mia impressione è che anche loro non stiano facendo sforzi di nessun genere per porre fine alla circolazione di queste voci, perché queste deviano l’attenzione e la rabbia della gente nei confronti di coloro che in realtà dovrebbero essere lì per aiutare, soprattutto in periodo in cui il paese si trova a fronteggiare le elezioni presidenziali.