Haiti, spenti i riflettori restano le macerie
16 Aprile 2010
Il 12 gennaio scorso un sisma terribile devastò l’isola caraibica di Haiti, colpendo sopra tutto la zona dell’entroterra vicino la capitale Port-au-Prince. Allora molti edifici della città furono distrutti o gravemente danneggiati, come il Palazzo presidenziale, la sede del Parlamento, la cattedrale e il quartiere generale della missione ONU. A tre mesi da quella tragedia che provocò oltre trecento mila vittime, la situazione sull’isola stenta ancora a tornare alla normalità. Più di un milione di persone sono rimaste senza casa, e a breve si troveranno a fare i conti con la stagione delle piogge, come ha denunciato la coordinatrice dell’emergenza per Medici senza frontiere, Karline Kleijer. Secondo i meteorologi americani, infatti, quest’anno il fenomeno degli uragani, previsto da giugno a novembre, potrebbe rivelarsi particolarmente intenso, rappresentando così l’ennesimo dramma per uno dei Paesi più poveri al mondo.
Fortunatamente, la gara di solidarietà internazionale non si è mai interrotta. Il 1 aprile il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha aperto i lavori della conferenza per la ricostruzione di Haiti, ospitata a New York nel Palazzo di Vetro. I Paesi donatori hanno raccolto 5,3 miliardi di dollari da spendere nei prossimi due anni, superando l’obiettivo iniziale dei 3,9 miliardi. Presenti, oltre a Ban Ki-moon, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, secondo la quale “siamo solamente all’inizio di una lunga strada per la ripresa di Haiti” e il presidente haitiano René Préval. Al tavolo degli oratori, c’erano anche diversi ministri degli Esteri, come il capo della diplomazia francese, Bernard Kouchner. Secondo alcune stime, la somma per la ricostruzione dell’isola dovrebbe ammontare a circa 11,5 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni. Cibo, sanità e alloggi sono gli obiettivi più urgenti, oltre al mantenimento della sicurezza e, in particolare, alla garanzia che donne e bambini nei campi, allestiti poco lontano da Port-au-Prince, siano al riparo da violenze sessuali. Alla conferenza internazionale hanno partecipato 138 Paesi e istituzioni come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e le Ong di tutto il mondo. La Banca Mondiale ha promesso 250 milioni di dollari e ha annunciato di aver cancellato il debito di Haiti che ammontava a 39 milioni. L’Unione Europea, rappresentata dall’alta responsabile per la politica estera, Catherine Ashton, ha impegnato 1,6 miliardi di dollari. L’Italia, da parte sua, ha promesso 40 milioni di euro per lo sviluppo macroeconomico, che prevede aiuti al bilancio del governo haitiano e la cancellazione del debito. Mentre la Francia ha stanziato 56 milioni nello stesso settore.
Secondo l’UNICEF, a tre mesi dal terremoto la risposta umanitaria è stata senza precedenti ed ha permesso di evitare una crisi ancora peggiore per l’infanzia. Nonostante la distruzione e il collasso dei servizi di base non si sono avuti significativi focolai di malattie, né il tasso di malnutrizione è aumentato, oltre un milione di persone riceve regolarmente acqua potabile e, ad oggi, più di cento mila bambini sono stati raggiunti da campagne di vaccinazione di massa. Inoltre, circa 200 mila donne e bambini beneficiano di programmi mirati di sostegno alimentare, le scuole stanno gradualmente riaprendo in sistemazioni temporanee, grazie alla fornitura di migliaia di tende e kit di materiali didattici. Se i primi risultati appaiono buoni, resta, però, una sfida fondamentale ancora da affrontare: molti ministeri e dipartimenti hanno perso personale, edifici e archivi importanti, limitando notevolmente le possibilità organizzative. Ma nella sua corsa disperata contro il tempo, Haiti può ancora contare sulla comunità internazionale. Qualche giorno fa, la first lady americana, Michelle Obama, è atterrata all’aeroporto di Port-au-Prince per visitare le zone più colpite dal terremoto del 12 gennaio. Michelle ha incontrato il presidente René Préval e la consorte Elisabeth, e ha visitato l’ospedale della città, per poi ripartire alla volta del Messico. E anche le star di Hollywood continuano a mobilitarsi con proprie organizzazioni no profit in sostegno della popolazione haitiana. La scorsa domenica, la cantante colombiana Shakira è volata a Port-au-Prince per incontrare alcuni bambini sopravvissuti al sisma e per sponsorizzare la costruzione di una nuova scuola, che sarà chiamata Barefoot, attraverso l’aiuto del suo ente benefico. In una tendopoli sorta su un campo da golf, Shakira ha incontrato l’attore americano Sean Penn, atterrato nella capitale haitiana per dare una mano già una settimana dopo il terremoto. Penn ha creato sull’isola un’associazione, la Jenkis-Pens Haiti Relief Organization, con il compito di fornire cibo e assistenza ad un accampamento a nord di Port-au-Prince, dove ad oggi sono rifugiate circa 45 mila persone.
Anche l’Italia sta giocando un ruolo importante nella ricostruzione di Haiti. Oltre alle promesse durante la conferenza internazionale dei donatori, si è da poco conclusa l’operazione umanitaria White Crane, che ha visto 900 militari italiani di tutte le Forze Armate portare soccorso ai terremotati di Haiti. Una missione di cui “siamo orgogliosi”, come ha dichiarato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenuto a salutare il contingente militare, rientrato a Civitavecchia a bordo della portaerei Cavour. In effetti, il bilancio di quasi tre mesi di attività a sostegno dei terremotati è di tutto rilievo. Più di dodici tonnellate di generi alimentari e 176 tonnellate di medicinali italiani sono stati distribuiti alla popolazione haitiana, 36 tonnellate di acqua sono state rese potabili dai depuratori della portaerei, mentre 56 pazienti sono stati ricoverati su oltre cento assistiti presso l’ospedale della nave. Tutti, haitiani e non, si aspettano che la situazione continui a migliorare, sulla base di quel virtuale patto di trasparenza e mutua responsabilità che si è stretto fra governanti e haitiani, Port-au-Prince e comunità internazionale. Perché, come ha spiegato il segretario Ban Ki-moon, la missione ONU non dovrà semplicemente ricostruire, ma “ricostruire meglio”, creando letteralmente una nuova Haiti.