Haiti, un anno dopo: tra colera, macerie e aiuti “fantasma”
12 Gennaio 2011
Dodici gennaio 2010, 12 gennaio 2011. Esattamente un anno dopo che quella scossa di magnitudo 7 ridusse in polvere nel giro di 30 secondi l’isola di Haiti, lo scenario non potrebbe apparire più drammatico.
Duecentoventi mila morti, 300mila feriti, 2.3 milioni di sfollati, 7,8 miliardi di dollari di danni, quasi 2 milioni di senzatetto, rimozione di appena il 30% delle macerie: queste le spaventose cifre che descrivono l’attuale situazione del Paese più povero dell’intero continente americano, che sembra essere oggetto preferito di maledizioni da parte di Madre Natura. Sì, perché allo spettro della distruzione se n’è aggiunto un altro: quello della morte pestilenziale che da più di tre mesi sta flagellando l’isola espandendosi paurosamente a macchia d’olio e che, ad oggi, ha colto 3756 persone.
Più passano le settimane e più, di fronte all’enorme danno, le parole “ricostruzione” e “cure mediche” suonano come una beffa, anche perché l’Haiti di un anno dopo, raccontano molti presenti sul posto, sembra l’Haiti di due anni prima. Dove sono finiti gli 11 miliardi di aiuti promessi in tre anni dagli Stati donatori lo scorso 31 marzo alla Commissione guidata da Bill Clinton – incaricato di coordinare gli aiuti internazionali – per la ricostruzione? Sono scandalosamente in standby mentre la situazione degenera e gli haitiani si disperano, denunciando di venire estromessi dalle scelte che riguardano la loro sopravvivenza.
Sconforto e rassegnazione la fanno da padroni in un’isola piagata, tra l’altro, da crisi politica e debolezza istituzionale, con un presidente, René Preval, scaduto da un anno e accusato di incapacità e corruzione. Meno della metà dei progetti per agricoltura, sanità e istruzione fatti partire l’agosto scorso dalla Commissione sono stati finanziati dai governi.
Così, anche il monito delle Nazioni Unite “la ricostruzione è una priorità assoluta per il 2011, ma anche una sfida pluriennale” pare vacuo, e l’intenzione di mettere in campo entro giugno 2,5 miliardi da spendere in aiuti sembra una promessa da marinaio, perché la gente ancora non dimentica le parole pronunciate da Clinton all’indomani del sisma: “Con una buona organizzazione degli aiuti questa è la chance perché Haiti possa finalmente sostenersi da sola”. Ad oggi tutto sembra fuorché che a questo Paese, schiacciato da macerie e povertà, sia stata data una possibilità per rialzarsi. Parole, quelle dell’ex presidente Usa, che stridono soprattutto se confrontate con quelle pronunciate proprio ieri: “Nessuno è più irritato di me perché non è stato fatto di più”.
Capitolo particolarmente scottante, poi, quello dell’attività delle Ong e delle congregazioni, che ha provocato in questi mesi una valanga di polemiche. A ottobre Edmond Mulet, direttore della missione Onu ad Haiti, le ha accusate di essere responsabili della debolezza della nazione e ha puntato il dito contro la proliferazione incontrollata di sigle (circa 10mila) dietro le quali non si sa chi si nasconda e che non partoriscono l’ombra di un aiuto.
Allora è vero quanto affermato da Unni Karunakara, presidente di Medici senza frontiere: “Haiti rappresenta, sfortunatamente, lo scenario per l’ultimo fallimento del sistema degli aiuti umanitari”. A year after, speriamo che questa giornata della memoria serva, in tal senso, da promemoria alle ‘forze’ internazionali, per un Paese in cui la storia non procede in linea retta, ma è piuttosto un cerchio, un eterno ritorno fra una sfortuna e l’altra.