Lo scorso 4 gennaio, ad Amsterdam, si è svolta una manifestazione pro-Hamas. 1.500 tra palestinesi, arabi e musulmani, hanno riempito la piazza adiacente al Museo Van Gogh intonando cori rabbiosi contro gli ebrei. E la sinistra che fa? Scende in strada con gli amici dei terroristi. Il responsabile per gli affari esteri del partito socialista olandese, Harry van Bommel, grida tutto compunto dietro lo striscione: “Intifada, Intifada, Palestina Libera!”. Qualche metro più in là risuonano slogan agghiaccianti come: “Hamas, Hamas, gli ebrei al gas!”.
Accanto a Bommel c’è Gretta Duisenberg, la vedova del celebre banchiere. Nel settembre del 2006, la donna commentò così l’uccisione di ebrei da parte di Hezbollah: “Israele ha sempre mentito. Basta guardare i loro volti pieni di sufficienza. Sono dei bastardi” (anche i nazisti dipingevano gli ebrei come dei mentitori). In seguito la Duisenberg ha precisato che le sue parole erano state “distorte”. In passato si era offerta come “scudo umano” per difendere Yasser Arafat e, quando l’esercito israeliano si ritirò da Gaza, ha detto di essere “very happy” per la vittoria di Hamas. “Solo alcuni di loro sono inclini al terrorismo, la maggioranza dei palestinesi viene incitata dal comportamento aggressivo di Israele”.
A intestardirsi che quella palestinese sia una lotta di liberazione nazionale sono rimasti solo i militanti della sinistra europea. Non si accorsero che l’OLP aveva fallito i suoi obiettivi restando vittima del proprio infantilismo e nativismo armato. Oggi ripetono lo stesso errore con il fondamentalismo islamico. Bommel e la Duisenberg sono come quei viaggiatori naif dell’Europa che capitavano a Mosca negli anni Trenta e si innamoravano dell’umanità di Stalin. Una volta li chiamavano “utili idioti”, oggi sono diventati i nuovi “dhimmi”. Questa gente disonora il regista Theo van Gogh e il politico Pim Fortuyn, due olandesi ammazzati da chi vorrebbe sovvertire la democrazia occidentale islamizzandola.
Non tutto il movimento socialista in Europa è antisemita ma bisogna ammettere che spezzoni di esso – le frazioni post/neo comuniste, i no-global, difendono l’islamismo con la scusa della solidarietà con “l’irredentismo” palestinese. Lo stesso trucco viene usato dall’estrema destra per dissimulare l’avversione nei confronti della potenza israeliana. Un paio di giorni fa militanti bolognesi di Forza Nuova hanno protestato contro “le menzogne dei politicanti italiani del centrodestra, per esprimere la nostra solidarietà al popolo palestinese e alle sue famiglie martoriate”.
Bandiere israeliane sono state bruciate a Milano e a Torino mentre graziose decorazioni con scritte antisemite e svastiche neonaziste insozzavano i negozi degli ebrei di Roma. La sigla sindacale “Faica-Cub” (Federazione Lavoratori Agro-Industria Commercio e Affini Uniti) ha proposto un boicottaggio dei prodotti israeliani. Quando il sindaco Alemanno ha espresso solidarietà alla comunità ebraica, il network “Indymedia” l’ha bollata come una “manipolazione di notizie” difendendo i compagni della Faica. Manifestazioni anche a Firenze (dove i bambini palestinesi sono stati costretti a sfilare con fazzoletti macchiati di vernice rossa) e a Venezia (“Israele brucerai”).
L’onda antisemita cresce in tutto il continente. Migliaia di dimostranti hanno cercato di scavalcare i cancelli dell’ambasciata israeliana di Parigi scatenando un pandemonio nelle strade. Ci hanno provato anche a Londra. A Oslo la polizia ha reagito con i lacrimogeni ai lanci di pietre. In Svezia il grande corteo pro-Gaza organizzato dalla potente comunità islamica locale ha ospitato il segretario del partito socialdemocratico Mona Sahlin. Il 30 dicembre, a Fort Lauderdal (Florida), un nutrito gruppo di arabi-americani, studenti e no-global, aveva chiesto agli ebrei di andarsene via dalla Palestina, mentre gli imam evocavano “la reale bellezza dell’Islam”.
Un tratto esasperante del postmodernismo è lo slittamento dell’ideologia di sinistra verso un fascismo riciclato come quello di Hamas. Il movimento socialista dovrebbe rifiutarsi di dare il proprio supporto politico ai chierici che si sono insediati a Gaza con la forza, grazie alla complicità dei media e alla crescente pressione sociale dell’Islamismo nei Paesi arabi e in Europa. Ma la sinistra europea ha ancora troppa nostalgie delle sigle legate ai movimenti di liberazione nazionale: Hamas, abbreviazione di “Harakat al-Muqawama al-Islamiyya” o “Movimento di Resistenza Islamico”, come recita la carta fondativa del 1988, è un nome vergognoso per cui combattere.
Storicamente il “palestinismo” ha avuto origine nel nazismo sotto la supervisione di Hitler, Himmler ed Eichmann. L’incontro tra il fuhrer e il Gran Muftì di Gerusalemme santificò l’abbraccio dei due totalitarismi. Su questo ceppo originario si innesta l’anticolonialismo reazionario e il nazionalismo religioso degli ispiratori di Hamas – Sayyid Qutb e Izz al-Din al-Qassam. Il primo è uno degli ideologi della “Fratellanza Musulmana” nata in Egitto, l’altro un protagonista della lotta contro gli inglesi all’epoca del “mandato” sulla Palestina. La saldatura tra la sinistra e l’islamismo, quindi, va cercata nel terzomondismo e nell’anticolonialismo, oltre che nel nazifascismo.
L’obiettivo di questi gruppi è distruggere lo stato di Israele per sostituirlo con una Repubblica Islamica. Hamas ama presentarsi come un movimento filantropico che si rivolge all’uomo della strada e alla classe media, promettendo riforme, lottando contro la corruzione, restaurando i “valori morali”: nella Weimar dell’ANP sono parole d’ordine che aumentano il consenso verso il fondamentalismo.
Dopo la fine del Comunismo le elites delle potenze occidentali hanno fatto affari e stretto rapporti politici ed economici con i Paesi del mondo arabo e musulmano ostili a Tel Aviv. Negli Stati Uniti c’è ancora un forte sostegno popolare verso il mondo ebraico e l’esistenza dello stato di Israele. In Europa molto meno. Ecco perché dobbiamo organizzare in nuovi modi la difesa delle comunità ebraiche nel mondo. Tanto Israele sa cavarsela da solo.